Alessandro Grazian è un gran figlio di puttana. Uno di quelli che, quando cerchi di smontarlo dopo "Caduto", si impegnano per dimostrarti che hai sbagliato, e ci sono uomini che non accettano la sconfitta ma quelli intelligenti sì. Ecco che, nel 2008, "Indossai" (a cui si collega "L'abito", ep del 2009) presenta il padovano Grazian al pubblico con nuove vesti di musicista capace, rapace, sagace.

Ha l'occhio furbo, Alessandro. "Mi hai dipinto con occhi sbagliati" canta nella seconda traccia, "Ballata", un attimo dopo del pezzo che dà il titolo al disco e subito prima di "E' vero", alla quale si unisce in matrimonio. Arrangiamenti d'archi, atmosfera da sporca e raffinata danza, pillole d'amore. Alessandro Grazian unisce subito ballo e nostalgia, corde grattate ed accarezzate, amore e violenza. Alessandro Grazian si ricorda tutto, ha memoria, prova interesse per le emozioni in bianco e nero, "Acqua" ha il sapore di una fotografia dei nonni mai vista prima e trovata sul fondo di un cassettone del comò in camera da letto mentre la sistemi prima di svuotarla. Il padovano pesca dai grandi classici del passato italiano (Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Lucio Battisti) e ci fa una domanda: "Dov'è che ci siamo persi?". Non lo so, Ale. "Diteci che siamo sani", ad ogni modo, è proprio nel passato che ci butta: intimità, tempesta, sentimento. La musica di Grazian, perchè è tutta sua, ha l'aria di voler fare le cose in grande stavolta, si sente forte l'idea alle spalle, si vede il filo che collega tutto, un filo di altri mondi, di amori passati, di aria vissuta.

La sua è una fuga dall'insignificante, un fiore, l'arco del violino si scontra con la rozzezza del parlato in "A San Pietroburgo" ed apre le porte a confini bianchi, freddi ed eleganti sulla francese "Sainte Epine" così come su "Soffio di nero". Alessandro Grazian ha un cantato in bilico fra il rassicurante e l'ansioso, le palpitazioni di "Fiaba rossa" non terminano esattamente quanto termina la canzone ma sforano un poco più in là, Alessandro Grazian ha un senso estetico fin troppo accurato alle volte, pettina le sue bamboline con spazzole a denti stretti fino a far correre ogni capello lungo la propria strada stando attento a non far male ai loro capi dorati, riesce a cantare una canzone come "Chiasso" ad una città conosciuta unicamente come capolinea di una linea ferroviaria che parte da Milano e squarcia la Brianza prima di varcare il confine svizzero. E' una voce distante la sua, una voce che dice che non stai da solo, una voce separata da un muro invisibile che bisogna bucare a forza di immaginazione.

Chi ne è sprovvisto, stia alla larga.

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