La musica si sente con la testa o con il cuore?   

Verrebbe da rispondere "con le orecchie", ma sarebbe risposta ironica tesa ad evitare un'annosa discussione. Le emozioni che l'ascoltar musica produce, vengono da pulsioni quasi fisiche o dal fitness cerebrale a cui ci sottopone? Meglio la minimal techno, l'avanguardia di La Monte Young, o un bel calcio nel culo garage, o una sferzata di metallo anni'80 pochicazzienientefronzoli?

Ovvio che coesistano entrambi i tipi di musica e quindi entrambe le tipologie di ascoltatori. O musiche e ascoltatori che democristianamente stanno nel mezzo e prediligono tutto. Io mi ritengo un ascoltatore dell'ala "centro-cuore". La musica, per quanto cervellotica sia, un minimo di stimolo fisico lo deve dare, che sia un fremito al bulbo oculare, un'imprevista diarrea, o dolori alle trombe di Eustachio. Allora perché parlare di un gruppo che sapevo già essere alquanto cerebrale? La risposta non ce l'ho, forse mania di completismo, smania da download, ricerca ossessiva di qualcosa di "altro" e "diverso". Fatto sta che dopo mesi ho ritrovato questo album nei bui recessi dell'HD e mi sono deciso ad dedicargli un ascolto attento. E qualcosa da dire i signori la hanno.

Domiciliati a NY, ma musicalmente abbastanza apolidi, gli Alex Delivery fanno parte di quella schiera di gruppi attuali che, sorpassando barriere e confini di genere quasi per vocazione, han finito per creare un genere e un suono "loro". Mi vengono in mente gli Animal Collective come approccio aperto, ma, musicalmente, se non siamo agli antipodi poco ci manca.

Gli uni come dei Brian Wilson perennemente sballottati fra narcolessie acide e scatti di gioia da prima elementare, gli altri come dei Kraftwerk depressi che cercano di donare calore ed emozioni attraverso le macchine. Impresa ardua, perché ad un primo impatto "Star Delivery" risulta ascolto cupo e quasi claustrofobico. Nei primi 4 minuti l'iniziale "Komad" soffoca sotto coltri di lamiere in loop e batterie-bidone, una melodia vocale altrimenti eterea e sognante, per poi trasfigurarsi in una  cavalcata organistica simil Neu!. La successiva "Rainbows" è ancora più improbabile, col suo tono pastorale da album natalizio, anch'essa sottoposta ad un violento trattamento a base di elettronica glitch. Il prosieguo non è da meno: il tour de force "Sheath-Wet" viaggia su binari di synth anni '80, rallentando ogni tanto per fermarsi in qualche bucolica stazione della Ruhr, l'epica ballata "Vesna" è continuamente sferzata da possenti venti elettronici, la melodia circense di "Scotty" è puntellata da inquietanti esplosioni campionate. Solo nei 10 min. di "Milan" i nostri sembrano cercare (e trovare) una certa pace interiore, riuscendo a comporre una melodia "allegra".

Come detto, disco che appartiene di sicuro alla sfera intellettiva e cerebrale della musica, ma con un remoto nocciolo in acciaio temperato ben nascosto fra le lamiere, dall'interno caldo e rassicurante, latore di piccole e flebili emozioni. Un po' come sentirsi di nuovo bambini, rannicchiati in camera sotto la coperta della nonna.

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