Il 1996 per i Rush non è proprio un'annata favorevole: l'ultimo "Test For Echo" si rivela un album appena discreto, che passa in sordina persino tra i fans più accaniti della formazione.
La band è infiacchita e distratta: quale occasione migliore per pubblicare il proprio debutto da solista?
Questo deve aver pensato Alex Lifeson, che nello stesso anno rilascia il suo "Victor", registrato in appena un anno di sessioni nel suo studio personale.
La formazione per questo progetto è quasi interamente canadese e vede Bill Bell alla chitarra, Peter Cardinali al basso, Blake Manning alla batteria ed il cantante Edwin degli I Mother Heart. La prova del complesso viene saggiamente diretta dal biondo chitarrista, il quale come al solito regala più di una straordinaria performance alla 6 corde.
Apparentemente a livello di sound "Victor" non si discosta poi moltissimo dal sopracitato lavoro della band madre, proponendo brani energici e molto "metallosi" dal tipico sapore novantiano. Ciò che differenzia quindi questa opera dalla passata produzione dello storico trio canadese si può riassumere in due punti: 1) Il mood del lavoro, a livello concettuale cupo e a tratti grottesco; 2) Una vistosa vena sperimentale che porta Lifeson, tra una schitarrata e l'altra, a spaziare tra ritmi funk, echi psichedelici e addirittura crossover.
Ed è così che fra i pezzi in classico stile Rush come "Promise" o "Start Today" (Ottima prova vocale dell'ospite Lisa Dal Bello, dalla grintosa voce che ricorda decisamente quella di un certo bassista di nostra conoscenza...) troviamo anche episodi più lenti ed emozionali come "At The End" (le atmosfere dei Porcupine Tree che incontrano il tocco chitarristico di Jeff Beck!) o l'inquietante parlato della title track. Quest'ultima riassume bene le già citate tinte scure del lavoro: accompagnato da tastiere e sassofono, Lifeson ci racconta l'inquietante storia di un uomo, tale Victor appunto, che conosce la donna della sua vita e decide di sposarla. La relazione purtroppo avrà dei riscontri tragici (non vi dico altro, invito semplicemente a leggerne il testo alquanto bizzarro).
Altri momenti interessanti certo non mancano: c'è la distensiva strumentale "Strip and Go Naked", oppure la potente "I Am The Spirit", "The Big Dance" (dove Les Claypool fa una comparsata al basso), un altro divertente tributo a Beck (il disco in realtà ne è pieno!) di nome "Shut Shuttin' Up" e la cattivissima "Sending Out A Warning".
"Victor" è un lavoro eclettico e molto sperimentale, sicuramente poco indicato per chi ricerca similitudini con il complesso e funambolico rock dei Rush, ma che potrebbe fare la gioia degli ascoltatori più smaliziati e open-minded.
Di sicuro pone la figura di Alex Lifeson sotto una nuova luce, ovvero quella di un artista a 360° gradi, spesso fin troppo sottovalutato rispetto ai compagni Geddy Lee e Neal Peart e a chitarristi più blasonati e famosi.Carico i commenti... con calma