Il 2024 sarà il trentesimo anno dall’uscita nelle sale e quello che si sta per concludere è il trentennale della morte del suo compianto protagonista, Brandon Bruce Lee.

“Il Corvo” (The Crow) è un film che è diventato culto ancor prima di aver visto la luce. Vuoi per ciò che il destino ha tristemente riservato ai protagonisti, vuoi per l’intreccio di mistero e morte che ha mescolato realtà e finzione. Come se gli eventi fossero responsabilità di qualcosa di soprannaturale, tanto alcune coincidenze abbiano dato l’impressione di non essere realmente tali.

Basato sulla serie di fumetti di James O’Barr, il film ha ricevuto ispirazione da fatti realmente accaduti (la prematura e tragica morte della fidanzata di O’Barr e l’omicidio a Detroit di due giovani, per il furto di un anello da venti dollari), incrementando così l’aurea di mistero legata a tutto ciò che è accaduto durante le riprese.

La prematura scomparsa di Brandon Lee riporta immediatamente a quella del padre; Bruce aveva trentatré anni, suo figlio ancora meno, solamente ventotto. Entrambi troppo giovani e troppo sfortunati. Se soltanto di sfortuna si è davvero trattato. Una morte assurda quella del giovane Lee, avvenuta sul set che lo avrebbe finalmente consacrato al grande pubblico e che in definitiva l’ha consegnato alla leggenda. Un proiettile privato di innesco e polvere da sparo, incastrato nella canna di un’arma che avrebbe dovuto essere innocua. Poi una pallottola a salve che spinge l’ogiva dimenticata nella stessa pistola, l’esplosione e infine la ferita mortale. Un demone astuto a sbrigativo che ha cavalcato l’onda del destino, verrebbe da pensare. Lo stesso destino che è toccato a Eric Draven, rocker ribelle e romantico e all’amata fidanzata Shelly Webster, con la quale sarebbe dovuto convolare a nozze il giorno dopo la tragedia, precisamente ad Halloween.

Brandon Lee ed Eliza Hutton, sua fidanzata e futura moglie, si sarebbero dovuti sposare esattamente diciotto giorni dopo quel maledetto ultimo giorno di riprese. Quel trentuno marzo di trent’anni fa, che rimane la data scelta dal fato per legare mito, mistero ed incredulità in modo indissolubile. Solo l’utilizzo della CGI e la collaborazione ancora più attiva delle controfigure hanno consentito di terminare le riprese e consegnare il film alla storia.

Diretto da Alex Proyas (Dark City), “The Crow” è un lungometraggio oscuro, violento, cupo ed incredibilmente magnetico. Un noir gotico, che tramite l’affascinante impatto estetico del suo protagonista, farà da apripista al movimento emo, che nascerà qualche anno più tardi. La pioggia, il buio della notte, l’aurea di cattiveria e odio perpetrata dagli antagonisti delle vittime, carica e motiva lo spettatore, che parteggia in modo viscerale per Eric ed assimila passo dopo passo la sua sete di vendetta.

Eric Draven e il corvo psicopompo che lo riporta nel mondo dei vivi sono le figure che rendono cupamente poetica la Notte del Diavolo. Tra fiamme che divampano, follia dilagante, droga e nessun rispetto per la vita altrui, si fanno largo propositi di redenzione, intensi flashback e sprazzi di un futuro impossibile, colorato solamente di grigio. C’è la piccola Sarah (narratrice della storia), che non sopporta più la pioggia (Eric con sincero ottimismo le ricorderà che “non può piovere per sempre”) ed è costretta a fare da tutrice ad una madre tossica e impertinente, mentre prova ad elaborare la morte di Eric e Shelly, che sono stati per lei la cosa più vicina a un genitore. Poi c’è Il sergente Darryl Albrecht, unico rappresentante decente della legge, tra poliziotti nullafacenti ed incapaci anche solo di guidare una volante senza riportarla a pezzi in centrale. Saranno queste le figure di riferimento del corvo e del suo assistito, durante quello che inizialmente doveva essere un percorso di vendetta, che poi si tramuterà soprattutto in una lotta per la sopravvivenza. Come fosse un sinistro ossimoro, la sopravvivenza di un non vivente, che speriamo con tutte le nostre forze non muoia. Non ancora, quantomeno.

Eric lascia la tomba, torna nel suo appartamento tra devastazione, pioggia e ricordi, si trucca il viso di bianco e guarda in faccia la realtà o quel che ne rimane. Il suo corpo è fasciato da tessuto e pelle nera, gli occhi, resi ancora più funerei dal trucco color pece, penetrano e arrivano dritti all’anima. Sotto la pioggia incessante suona la chitarra nero lucido dalle corde color argento, per provare a somatizzare il lutto, fino a perdersi in un riff fulmineo, terminato bruscamente per colpa della frustrazione. Vediamo la copertina dell’album degli Hangman’s Joke (band metal capitanata da Draven) e la puntina che Sarah appoggia nostalgicamente sul vinile prima di far partire la prima traccia, per dare concretamente musica ai ricordi. Sono tanti i dettagli emozionanti presenti in questa pellicola, alla quale non mancano piccoli difetti, soprattutto se esaminata a trent’anni di distanza. C’è il lavoro acerbo di un abile regista esordiente, un’iconica colonna sonora (Cure, Joy Division, Nine Inche Nails, Stone Temple Pilots, Pantera), l’intreccio con la letteratura e la poesia (Baudelaire, Edgar Allan Poe), quest’ultima come passione implicita del protagonista, alla stregua di quella più evidente per la musica.

James O’Barr si ispirò alla poesia di Edgar Allan Poe per la scrittura del fumetto e nella trasposizione cinematografica, più edulcorata e meno violenta rispetto al fumetto, come Hollywood ha preteso fosse, non manca una citazione dalla poesia “The Raven” (“Suddenly there came a tapping”).Iconica anche la citazione tratta da “Il Paradiso Perduto” (The Lost Paradise) di John Milton: “Sbalordito il Diavolo rimase nel constatare quanto osceno fosse il bene", riportata dal villain T.Bird durante le sue malefatte.

Eric ci mette poco a separarsi dalla terra umida e a focalizzare il motivo del suo ritorno nel mondo dei vivi. Prima di iniziare ad accettare il lutto porta avanti la sua vendetta. Elimina Tin-Tin, pugnalandolo a tutti gli organi vitali (in ordine alfabetico) e dopo avergli strappato la confessione che gli serviva, raggiunge Gideon e recupera l’anello di fidanzamento che gli spietati assassini avevano rubato a Shelly, dopo averla violentata e uccisa. Poi continua la sua opera, seguendo un preciso e meticoloso ordine. Elimina Funboy, liberando e redimendo Darla, la madre di Sarah, caduta nella ragnatela del tossico. Poi passa a T-Bird e Skank, scalando la piramide criminale, fino al più marcio e perfido degli assassini della banda, Top-Dollar.

Il finale shakespeariano è la chiusura più adatta della storia ed è una sorta di “vissero felici e contenti” alternativo, che non lesina la commozione durante l’ascolto delle ultime parole della voce fuori campo:

“Le persone muoiono, le case bruciano ma il vero amore è per sempre”

Il 2024 sarà l’anno dell’uscita nelle sale del reboot che tanto ha contrariato gli amanti del film originale. Lionsgate si occuperà della distribuzione e Bill Skarsgård (IT, John Wick 4) sarà il protagonista, contrariamente alle voci che fino all’ultimo volevano Jason Momoa nei panni che furono di Brandon Lee.

Al netto delle considerazioni in merito all’utilità o meno di un reboot (e della qualità dei sequel realizzati dopo il 1994), di un film iconico come Il Corvo (che è invecchiato benissimo e ancora oggi ci basterebbe) è innegabile che questa pellicola rimarrà nella storia del cinema per sempre. Come fosse la cupa testimonianza terrena di un’eternità a noi sconosciuta.

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