Il Principe Igor di Borodin, il mio primo vero approccio alle monumentali delizie dell'opera russa ottocentesca. Perchè proprio questa e non titoli più "canonici" come l'Eugene Onegin di Tchaikovsky o il Boris Godunov di Mussorgsky? Ovviamente le danze polovesiane hanno avuto un peso determinante nella mia scelta ma, più in generale, è proprio la storia che sta dietro quest'opera ad essere talmente particolare e affascinante da provocare un'immediata curiosità. Prima di tutto, Knyaz' Igor' è stata pensata e composta da un musicista a tempo perso, ebbene si, Alexander Borodin era prima di tutto un brillante chimico e professore, che nel tempo libero si dilettava con sinfonie e quartetti d'archi; uno di quei rarissimi geni eclettici in grado di lasciare il segno sia nell'arte che nella scienza. Scrivere un'opera (per di più occupandosi in prima persona anche del libretto) a tempo perso però è una faccenda assai complicata, e Borodin se la trascinò dietro per circa vent'anni; morì nel 1887, lasciandosi dietro un lavoro incompleto, che fu portato a termine da Nikolai Rimsky-Korsakov, l'operista russo per eccellenza, che si è fatto carico quasi interamente del lavoro di orchestrazione e Alexader Glazunov, compositore assai influente all'epoca per cui il completamento del Principe Igor ha rappresentato l'unica esperienza in questo ambito, a cui si devono gran parte del terzo atto e soprattutto la stupenda overture.
Tre anni dopo la morte del suo artefice, Knyaz' Igor' vide finalmente la luce: parliamo del 1890, quindi e, dalla prospettiva di un ascoltatore abituato alle opere italiane, tedesche e francesi, colpisce immediatamente il totale, assoluto anacronismo rispetto agli stili in voga al momento. Come se Wagner non fosse mai esistito, Borodin (in linea con i canoni dell'opera russa in quel periodo, Rimsky-Korsakov su tutti) prosegue dritto per la sua strada, proponendo un lavoro dalla struttura molto "chiusa" con arie, duetti e corali ben separati tra loro. Sostanzialmente, il Principe Igor è una Grand Opera: durata "importante"? C'è. Tematiche storico-leggendarie altisonanti? Ci sono. Balletto? Beh, più che balletto direi proprio un'estasi, comunque c'è pure quello. E in più uno stile roboante, profondamente epico ed evocativo. Borodin arriva al "titanismo" seguendo una strada sicura, collaudata, ma lo fà a modo suo, con le sue idee e la sua originale, ricchissima musicalità, e il risultato finale ha un impatto scenico mozzafiato.
Ma guai a considerare Knyaz' Igor' unicamente come una pur maestosa carrellata di showpieces; per quanto riguarda il libretto ci sono degli evidentissimi "pezzi mancanti", scene e personaggi sviluppati solo in parte, e di conseguenza un arco narrativo decisamente frammentario. A proposito di libretto, prologo e primo atto illustrano la situazione, il terzo atto, musicalmente valido ma palesemente affrettato e incompleto conduce al finale accatastando rapidamente gli eventi, il quarto chiude il cerchio in maniera altrettanto parziale e sbrigativa, e nel secondo atto... in pratica non succede niente; poi ci arriviamo con calma. Detto così sembrerebbe proprio un gran casino, ed ovviamente non bisogna dimenticare le particolari circostanze in cui è nata l'opera che, nonostante questo, è notevolissima anche a livello tematico. Il Principe Igor è un manifesto, non un clichè. Di fatto, è un poema epico-cavalleresco sotto forma di opera: nazionalista, ma senza alcuna grettezza, dominata dal tema dello scontro tra civiltà che, attraverso l'amore tra Vladimir e Konchakovna diventa incontro, e, questo è il suggerimento implicito, preludio di una futuro comune su scala più vasta. E i frutti di quel futuro comune si sentono tutti nel Knyaz' Igor' di Borodin, la cui superba bellezza si basa anche sull'integrazione armonica tra l'elemento russo e quello "esotico", orientale.
Dal punto di vista vocale, a dominare la scena sono le voci profonde, e questa è una caratteristica tipicamente russa: abbiamo un protagonista basso-baritono, due ruoli per basso assai diversi tra loro ed entrambi brillantissimi, Galitsky e il Khan Konchak, uno per contralto, Konchakovna, e Yaroslavna, parte per soprano che richiede una voce spinto-drammatica con notevole padronanza del registro medio-basso. Ora, dovessi mettermi a elencare uno per uno tutti gli showpieces di cui Knyaz' Igor' letteralmente trabocca ne uscirebbe fuori un interminabile e noiosissimo "track by track", ma partirei comunque dall'overture di Glazunov, composizione elegantissima che introduce l'ascoltatore ai temi portanti dell'opera in maniera inizialmente quasi ovattata e amalgamandoli insieme con impeccabile fluidità e gusto sopraffino, il che fà risaltare ulteriormente il successivo prologo, dominato da una coralità epica e altisonante. Nel primo atto a rubare la scena è un personaggio decisamente marginale nella dinamica narrativa dell'opera, Volodimir Galitsky, che si ritrova a regnare sulla città di Putivl in vece di Igor, partito per combattere l'orda degli invasori polovesiani, una situazione simile a quella di Riccardo Cuor di Leone e Giovanni senza terra. Galitsky è un personaggio sgradevole e invidioso, caratterizzato però da una musicalità estremamente spavalda e frizzante, un po' come il Duca di Mantova nel Rigoletto, e il quarto d'ora che lo vede protagonista è un'opulenta, sontuosa scena di splendore cortigiano, perfettamente costruita e di un'orecchiabilità squisita, una brillante parentesi nel clima di epica solennità che caratterizza quasi tutto il resto dell'opera. Finito questo quarto d'ora, Galitsky viene "zittito" da Yaroslavna, sua sorella e maglie di Igor, e sparisce completamente dall'opera; come ho già detto, a livello di arco narrativo il Principe Igor stà insieme con estrema fatica. A proposito di Yaroslavna, è una parte che sarebbe stata perfetta per la Callas, dato il tipo di drammaticità e peso vocale che richiede, dominata da due lunghe e malinconiche arie, una nel primo atto, intrisa di un romanticismo molto delicato e sognante, che cresce gradualmente d'intesità e il sublime lamento che precede il gran finale, tecnicamente impervio, infarcito di vocalizzi e acuti di struggente intensità, che svetta su tutto il resto degli ultimi due atti che, messi insieme, fanno poco più di un quarto della lunghezza totale dell'opera.
Ora, parliamo invece del secondo atto, forse l'unica parte dell'opera a potersi definire veramente completa. Ora, vi ho detto prima che nel secondo atto non succede nulla: una leggera iperbole ma, sostanzialmente, così è. Non è un momento di azione ma di riflessione e contemplazione, un affresco musicale in cui lo scenario gioca un ruolo determinante. Un accampamento di yurte, e quattro voci nella notte che parlano a sè stesse, esternando ciascuna il proprio stato d'animo; sullo sfondo, a fare da collante, guerrieri e fanciulle polovesiane che celebrano la vittoria con danze, cori e canzoni. Dopo uno stupendo corale introduttivo e un primo accenno di danza, la prima voce ad emergere è quella di Konchakovna, figlia del Khan Konchak, con una delle arie operatiche più belle mai scritte per la voce di contralto, carica di una sensualità eterea e notturna; le risponde Vladimir, figlio di Igor, con un cantanto lirico-spinto di stile molto italiano, e le due voci si uniscono in un voluttuoso duetto d'amore. Poi Igor e Konchak, il primo vinto e prigioniero, il cui tormento è espresso con un'aria molto declamata, di assoluta, bronzea epicità, il secondo, vincitore, si esprime su tonalità più fluide e discorsive, con un impatto scenico leggermente meno dirompente, ma che sottolinea con efficacia il temperamento e la magnanimità cavalleresca del condottiero "barbaro": le due figure sono poste sullo stesso piano, come degni rivali. E il cerchio si chiude con il balletto, ovvero le danze polovesiane, e qui il potere evocativo della musica di Borodin raggiunge veramente livelli sovrumani; come se il movimento iniziale, con quell'intro di flauto e il coro delle fanciulle non fosse già di per sè un'esperienza mistica, il discorso si sviluppa in un perfetto contrappunto di elementi maschili e femminili sotto forma di accelerazioni e decelerazioni, parti cantate e strumentali, che nel finale si amalgamano in una perfetta chiusura non solo delle danze nello specifico ma di tutto il secondo atto, un'ora di assoluta perfezione in un'opera intrinsecamente, magnificamente imperfetta.
Ora, secondo le mie speculazioni, fosse stata concepita in circostanze più "normali" e sviluppata pienamente in ogni componente librettistica, il Principe Igor sarebbe stato con ogni probabilità un mastodonte sulle quattro ore di durata, forse con esiti ancora più esaltanti, o forse no. Appunto, si tratta solo di pure e semplici speculazioni, purtroppo, ovviamente si fà per dire, dobbiamo accontentarci del Knyaz' Igor' così com'è, con i suoi "buchi" narrativi e inoltre, pur avendo un suo stile e un simbolismo semplice ma efficace, come librettista Borodin non era certo ai livelli di Wagner o Prokofiev, ma, in fondo, con una proposta musicale di questo livello, con quell'apoteosi che è il secondo atto, importa veramente più di tanto?
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