L'anno è il 1829. Nessuno di noi, era neppure immaginabile. Siamo in Armenia: un uomo a cavallo incrocia sulla sua strada un carro che trasporta un feretro. L'uomo si informa su quale sia il nome del defunto, e poco dopo averlo appreso scoppia in lacrime.
Strana la vita; specie quando avvenimenti casuali sembrano legare ad un destino comune più individui. L'uomo a cavallo infatti è Puskin e il corpo del defunto è quello di Alexander Gribojédov (o Griboedov). Quest'ultimo è stato ucciso a Theran da una folla di rivoltosi dopo esser stato mandato in Persia con incarichi diplomatici.
La sua morte prematura priva l'allora nascente letteratura russa di un geniale commediografo e sembra legarsi ad altre infauste scomparse di altrettanto giovani e promettenti poeti suoi connazionali, primo fra tutti Puskin (1799-1837). Succederà a Lermontov (1814-1841) e pure a Gogol (1809-1851).

L'anno della sua morte vedrà anche il conclusivo forfait di tutte quelle aspirazioni ed ideologie liberali e riformatrici delle quali Gribojédov era stato uno dei trascinatori. Non basterà la nascita delle società segrete (1816) e la morte dello zar Alessandro I (1825) a portare a termine le aspirazioni dei giovani liberali russi: una costituzione, la liberazione dei contadini dalla servitù della gleba e la distribuzione della terra.
Con il 1825 ha inizio l'autocrazia di Nicola I che reprime duramente il movimento decabrista, evoluzione delle società segrete, governa con cieco nazionalismo e organizza la polizia segreta dotata di una fitta rete di spie.
Il 1826 vede l'istituzione della "Terza Sezione" misteriosa e temuta polizia  che sorveglia scuole e università e opinione pubblica (là dove esiste).
Per certi aspetti non era diversa dall'Unione Sovietica e dalla Russia odierna. Un'autocrazia dalle sfumature paternaliste appoggiata alla chiesa ortodossa che, non manipola, ma ghigliottina l'informazione e la cultura per poter mantenere il proprio dominio su una popolazione enorme per lo più povera e ingnorante. Quindi Schiava.

Storia ricca di spunti quella di Alexander Gribojédov (1795-1829) diplomatico e letterato appartenente alla jeunesse dorèe russa.
Amico e conoscente di Puskin, che ne stimava e conosceva il valore, proveniva da un'antica famiglia nobile di ceppo polacco. Conosceva sei lingue (Inglese, Francese, Italiano, Tedesco, Arabo e Persiano), era un musicista dotato e appassionato di teatro. Ma è principalmente ricordato per "L'ingegno Che Guaio" opera brillante e ricca di aforismi che vennero immediatamente acquisiti come proverbi per buona parte dell'ottocento.


"Che Disgrazia L'Ingegno" (oppure "L'Ingegno Che Guaio!") racconta del ritorno a Mosca del giovane Cianski dopo un'assenza di tre anni. Qui rientra in contatto con la ragazza che ha sempre amato: Sofia,  con suo padre Fàmusov. E con l'inaspettato  pretendente Molcialin.

Arretrato e modellato su quello "occidentale" il teatro russo nel primissimo ottocento versava in condizioni  sfavorevoli. Non che fosse di pessima qualità o realizzato da idioti, ma era penalizzato dalla medesima fossilizzazione della classe sociale che lo creava.
Era infatti principalmente, salvo alcuni casi che non ebbero vita facile, fatto da nobili per i nobili e i motivi sono presto detti: il teatro era una forma convenzionale di ritrovo e socializzazione per la buona società.
Questo è un'altra espressione di uno dei limiti nati dall'eccezionalismo Russo: la mancanza di una classe borghese. Il giovane Gravila, pescatore del villaggio di Pereslavl'-Zalesskij, mai, mai e poi mai, sarebbe potuto entrare in un teatro di Mosca. L'ultimo degli scopi del teatro era sicuramente mettere in discussione quei valori fondanti di chi lo scriveva e di chi lo seguiva. Per non parlare delle difficoltà incontrate nel promuovere una vera critica in un ambiente  come quello della nobiltà di porcellana.
Una nobiltà intenzionata unicamente a  vivere e muoversi con discrezione, come le è sempre stato insegnato dai precettori privati prima, e suggerito da un avido pragmatismo nell'età adulta poi.
Mancava inoltre di un'identità propria: i ceti  abbienti erano totalmente influenzati dalle mode e dalla cultura proveniente dalla Francia (gallomania), argomento che fu soggetto di satira nell'opera del 1782 "Il Brigadiere" di Denis Ivanovic Fonvizin.
Infatti la maggior parte delle opere che vennero realizzate e messe in scena dalla metà del settecento ai primi dell'ottocento si rifacevano al classicismo Francese rimarcando l'esteofilia che  caratterizzava una parte della cultura Russa.

Alcuni dei più famosi autori di questo periodo furono: Gavriil Romanovic Deržavin, Denis Ivanovic Fonvizin,  Ivan Andreevic Krylov. Aleksandr Petrovic Sumarokov, esponente del neoclassicismo russo, scrisse commedie e tragedie utilizzando come soggetti fiabe o leggende antiche sull'impianto Raciniano.
Fonvizin apparteneva all'alta nobiltà russa; fu uno dei primi intenzionato ad elevare la qualità del teatro dando una sfumatura liberale (infatti nell' "Oneigin" Puskin lo definisce un amico della libertà) alla sua produzione.
Deržavin fece carriera sia come militare che come burocrate, anche egli vicino alle alte sfere, fu un drammaturgo e poeta classicista che con Karamzin diede origine al preromanticismo russo. Mentre Krylov, di origini più modeste, si dedicò ad opere di costume debitrici verso la commedia francese, passando poi alla ralizzazione di fiabe.
In generale la struttura, nei casi migliori, si rifaceva a Racine o Corneille, nelle tragedie, e a Molière, per le commedie; mentre per il resto si trattava di traduzioni da opere di autori minori. Realizzate in versi e distanti dalla realtà del mondo, erano opere particolarmente artificiose.

In questo contesto, ma non solo, "Che Disgrazia L'Ingegno" appare subito originale, coraggioso e innovativo.
Realizzata in quattro atti e scritto in versi è un opera fortemente autobiografica che sfidava lo status quo, distaccandosi dalla tradizione teatrale russa pur mostrando ancora qualche legame con Voltaire e Molière.
Cianski se ne va avanti e indietro dicendo apertamente e con spirito ogni suo pensiero, senza alcun filtro. Critica e contesta tutto ciò che lo infastidisce.
E non è una semplice satira di costume perchè non prende di mira un vizio o un malcostume, ma critica da insider un'intera classe sociale. Vide la stesura definitiva nel 1824 ma non venne mai rappresentata mentre l'autore era in vita a causa del blocco della censura. Raggiunse comunque una tiratura clandestina di ben quarantamila copie.
La sua importanza è ampiamente riconosciuta perchè ha dato il "la" ad una nuova stagione della letteraura russa  e in particolare in ambito teatrale.

La figura di Gribojédov è altettrettano importante quanto quella di Puskin, la sua influenza riguarda un modo nuovo e fresco di fare teatro e di usare la lingua. Sicuramente "L'Ispettore Generale" non sarebbe stato così come lo conosciamo se non fosse esistito "Che Disgrazia L'ingegno". La figura di Skalozùb, un colonnello che parla solo di parate e forti, ha già in sè il germe dell'umorismo iperbolico Gogoliano.
Cianski invece non è immune alla critica perchè non sembra aver l'acutezza di non dire tutto ciò che pensa, e questo in una società come quella russa, sembra voler dire Gribojédov, si paga caro. Che fine farà, come evolverà questo l'autore non sembra volerlo suggerire e nemmeno gli interessa. In compenso però ci offre un rosario di personaggi, presi in prestito dalla realtà, che mettono spregiudicatamente in mostra difetti ed arretratezze.
E alla fine, tra generali idioti, subdoli tirapiedi e ragazzine calcolatrici, se neppure Cianski è invulnerabile, poichè ingenuo, allora chi è ad averla vinta? Fàmusov. Lui: il vecchio nobile moscovita avido e un pò viscido è l'unico che riuscirà a sopravvivere, spetterà a lui l'ultima parola.

E la storia gli dà ragione: perchè la Russia dovrà rimanere in mano ad individui come lui ancora per molto tempo.

-Quella recensita è un'edizione Bur del 1954, tradotta da Natascia Baranowski e Paolo Santarone. Purtroppo non è più stata ristampata.

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