Come aggirarsi in una città proibita. Come trovarsi in un "infernopurgatorioparadiso" dove tutto trascende. Un vero e proprio iperuranio musicale. Alfred Schnittke è stato un grande del novecento, un uomo con tutte le contraddizioni, i dilemmi e i drammi del secolo appena trascorso. Con il suo ecclettismo, con il suo avere mille stili e non averne in fondo nessuno. Ma quest'opera è una cattedrale musicale, una dimensione parallela, un tempio. Non saprei davvero definirla. Musica "contemporanea", certo. Ma forse "senza tempo" è il termine migliore.

Ed è il coro a cappella a dare ancor più una dimensione di sacralità a questi dodici straordinari momenti musicali. E che compagnia corale. Il coro della Radio Svedese, guidato superbamente da Tonu Kaljuste, intona questi salmi ortodossi (il testo è del sedicesimo secolo) con un rigore ed un virtuosismo "umano", prima ancora che vocale, da lasciare sbalorditi. E qui non c'è nessuno strumento musicale, se non le corde proprie dell'uomo. E quell'incipit con i bassi a bocca chiusa che è davvero arduo distinguere da violoncelli e contrabbassi. Sono archi o sono voci? Sono voci. Corde dell'anima.

Il materiale musicale è denso e incredibilmente ricco. Un magma interiore di immensa spiritualità, che ora esplode in un "fortissimo", che ora si isola nella voce del tenore che emerge solitaria dal coro, che ora si raggela ad innalzare tremante ad un Dio eterno ed universale la sua supplica di salvezza. L'impianto è granitico, tonale, ma quelle dissonanze che si stagliano improvvise, quelle linee musicali sotterranee, quei contrappunti... una spiritualità in continua ebollizione, di certo sofferta, ma incredibilmente sublime, trascendentale e "vissuta".

L'ultimo coro è interamente "a bocca chiusa". Il disco sfocia come si è aperto, a chiudere un cerchio musicale con le dimensioni dell'universalità. Un'alfa ed omega davvero vibrante della intricata spiritualità dell'uomo contemporaneo.

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