Algernon - "Ghost Survelliance" 2010

Accesso libero a tutti gli amanti dei Tortoise, ma anche degli XTC e di tutti quei gruppi colti e preparati il cui tentativo è (o è stato) quello di salire oltre per guardare la musica con la giusta distanza e porsi quindi in grado di partorire cose eccelse.

La band è di Chicago e seppur siano alla terza uscita, di loro non ne sa niente nessuno. Eppure che fichi che sono.

Immaginate una vera salsa di Tortoise nei loro paesaggi solari e di XTC nei loro temi più vibranti e cazzuti. Già questo basterebbe per urlare godendo, ma c'è tanto di più: innanzitutto c'è quella base jazz, che fa tanto colto e tanto intrigante, c'è una ritmicità sublime spesso intricata e cervellotica, c'è quel vibrafono che doppia spesso la chitarra e dona fluidità aperta,  c'è una gran personalità, una tecnica esecutiva magistrale, precisa, senza sbavature e poi quell'eccelsa produzione che è tipica della Cuneiform. Ogni brano è una storia strumentale che andrebbe raccontata, ogni traccia ha una vita ramificata che si sviluppa a sé, oltrepassando temi, schemi ed etichette. Va bene (chepalle!) si può parlare di post rock, ma ci direbbe poco, si può parlare di jazz, ma sarebbe un accessorio descrittivo, si può parlare di rock crimsoniano, ma sarebbero svolazzi allegorici con poco senso, si può parlare di elettronica, landscapes e ambient, ma sarebbe limitante e persino fuorviante, si può parlare persino di uno stacco hard metal doom noise, ma è roba di qualche minuto e nell'economia del gioco fa l'effetto delle scintille accese per capodanno. E' vero c'è tutto questo e forse anche altro (non togliamo ogni sorpresa).

Dal disco riverbera qualcosa di struggente.

I ruoli sono chiari, sia nell'esplosione sonora, sia nel minimalismo di un vibrafono, che percuote le tavolette come fossero i gangli di un grande sistema nervoso. E ad ogni colpo la scossa si irradia fino al centro della sapienza, al centro dell'immenso essere cerebromorfo che è la musica stessa. C'è un qualcosa di fenomenale, qualcosa di atipico anche nel più semplice degli accordi, non c'è strofa da ricordare, non c'è ritornello da canticchiare eppure tutto passa, proprio in maniera elettrica, dalla mente al cuore e viceversa in un ristoro continuo, appagante, rispondente ai bisogni più ancestrali.

Quanto è bello potersi perdere nei grezzi arpeggi di "The Briefing" tra new wave, post rock, Canterbury e pop inglese. Quanto è soddisfacente volteggiare sulle note di vibrafono e sulle folli ritmiche di "Honey Trap". Quanto è appagante seguire le rincorse tematiche di "Operative Vs. Opposition". Quando è ristoratore giocare con la varietà di temi "Debrief and Defect. Quanto ogni brano, mi ha dato pieno piacere d'ascolto.

sioulette

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