Se al mondo abbiamo Marilyn Manson, un po'lo dobbiamo anche ad Alice Cooper. Lui fu il prototipo dell'irriverenza musicale, lui, l'incantatore di serpenti più famoso del mondo, usò per primo la morte come sberleffo.

Questo "demone grottesco", tra i '70 e gli '80 soprattutto, senza togliere niente agli ultimi lavori tra i '90 ed oggi, ha regalato al mondo moltissimi dischi, convincendo e deludendo, scandalizzando tutto e tutti. Un rock 'n' roll, a metà tra l'hard e l'heavy commerciale, che a tratti ricorda le sonorità degli ultimi AC/DC, a tratti quelle di Bon Jovi e Van Halen. Una formula musicale semplice e immediata.

Siamo in pieni anni '80 e il boom dell'heavy metal sembra relegare Alice nell'oblio degli artisti dimenticati. In questo periodo ricordiamo "Special Forces" e "Zipper Catches Skin", che non decollarono molto davanti al mostro del Metal in continua avanzata. "Constrictor" rappresenta una parziale ripresa, dove Alice esplora sonorità Heavy classiche, senza mai perdere la sua vena Rock 'n' Roll e la sua proverbiale irriverenza, tangibile fin dall'artwork del disco.
Merito della riuscita dell'album va anche al chitarrista-culturista Kane Roberts, che ha composto gran parte del lavoro finale. Alice è in perfetta sintonia con queste nuove sonorità, e lo dimostrano appieno brani come "Teenage Frankenstein", "Give It Up!", e "Thrill My Gorilla". Riff granitici, cori semplici e immediati. "Life And Death Of The Party" è quasi una semi-ballad, che non si discosta troppo dagli schemi precedentemente adottati. Un brano godibile, impreziosito dall'uso di intermezzi acustici. "Simple Disobedience" sembra una canzone disco dance anni '70, e forse per questo non entusiasma troppo, restando anonima. Si accelerano i toni con la successiva "The World Needs Guts", dove abbiamo un riffing semplice e tagliente. "Trick Bag", "Crawlin'" e "The Great American Success Story" non presentano particolari innovazioni, brani godibili senza troppa ricerca musicale, efficaci nella loro commercialità. Chiude il disco il tema del sesto film della serie "Friday The 13th", ovvero "He's Back (The Man Behind The Mask)", più elettronica delle altre, che ricorda pesantemente la dance anni '70 (come per "Simple Disobedience").

Un buon disco per un gruppo, o un artista che dir si voglia che, nel bene o nel male o in entrambi, ha regalato bei momenti, restando quasi sempre al centro dell'attenzione grazie ad una formula vincente ed efficace. Questo è "Il peggior gruppo di Los Angeles", dopotutto.

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