Per il 36esimo anniversario del leggendario e famoso concept album "Welcome To My Nightmare", Alice Cooper ha pensato bene di festeggiarlo registrando una seconda parte, chiamando con sé la formazione originale della Alice Cooper Band, composta da Michael Bruce, Dennis Dunaway e Neal Smith. Ma non si tratta di un vero e proprio sequel, di una seconda parte, più che altro è una reinterpretazione in chiave moderna dell'oscuro, depravato e necrofilo incubo di Steven, il protagonista immaginario del prequel. Una reinterpretazione che tuttavia si discosta un po' dal suo predecessore, in particolare sui testi delle canzoni. Nonostante questo fosse già stato annunciato, le aspettative non potevano essere che elevate, molto elevate, soprattutto da parte dei fans. Per non parlare poi dell'alto numero di ospiti presenti, tanto per dirne qualcuno: Rob Zombie, John 5, Kip Winger, Vince Gill, Ke$ha... sì, avete letto bene. Ma purtroppo, come per molti dischi/delusioni pubblicati nell'arco del 2011, questo si è rivelato francamene una delle mie più grandi e amare delusioni. Magari sono io che sono un po' troppo acido nei giudizi, che dai grandi dinosauri della musica mi aspetto sempre, non capolavori, ma lavori degni del loro nome e delle loro capacità musicali-compositive. Bene, questo Welcome 2 My Nightmare non lo è.

Innanzitutto, non ho accolto in modo tanto caloroso l'idea di un "sequel" dell'omonimo concept a distanza di ben 35 anni, già riuscivo a sentire nell'aria la puzza di clamoroso fiasco. Ma un torta con le candeline non sarebbe bastata? E poi, servono idee chiare e precise per realizzare un remake-sequel degno di poter essere comparato con l'originale. Beh, credo che le idee di Alice siano state parecchio confuse, e come di conseguenza, il risultato è stato alquanto scadente, sia come sequel che come semplice album di canzoni "alla Cooper". Infatti, il lavoro finale è deludente per la qualità dei brani, non per come sono stati composti e registrati, ma dal fatto che sono quasi tutti poco incisivi e meritevoli di essere ricordati, anche nel breve periodo.

Si nota subito nella seconda traccia "Caffeine", seppur un buon pezzo hard rock che ricorda i primi Scorpions anni '70, appunto non rientra nello stile del Maestro dell'Orrore. L'album trova spazio addirittura per un po' del rock n roll countryeggiante di "A Runaway Train", divertente ed orecchiabile, ma solo dopo alcuni ascolti, poi si comincia a dubitare sul perché della sua presenza in quest'album. Non esagero col dire che il trombone di "Last Man On Earth" è insopportabile, terribilmente insopportabile. Non posso dirvi di più a riguardo, perché dopo 30 secondi sono passato alla traccia successiva, e non l'ho più riascoltata. Ci tengo a dirvi che, dopo soli 18 minuti d'ascolto ininterrotto, i testicoli hanno cominciato lentamente a staccarsi. Ma ecco che finalmente qualcosa di interessante viene a galla con "The Congregation" e "I'll Bite Your Face Off", tutti e due ottimi brani rock, di cui il secondo è in assoluto il pezzo migliore di tutto l'album. Ed ecco che prontamente ricadiamo verso il basso, con una "Disco Bloodbath Boogie Fever" che mi lascia parecchio a desiderare, un iniziale pessimo scimmiottamento della disco music per poi terminare con un non indifferente assolo di John 5. Ci sono rimaste ancora due canzoni che valgono la pena di essere citate: "Something To Remember Me By", pezzo soft ma accettabile, degna erede di "Only Women Bleed"; "When Hell Comes Home", con uno stile heavy-psichedelico sabbathiano, è la canzone più oscura e malvagia dell'album, che più si intona col concept. No comment per "What Baby Wants", di cui non capisco la presenza e soprattutto la fiducia che Alice ripone nei confronti dell'ospite nel brano, e credo che voi abbiate capito di chi sto parlando. Il resto delle canzoni che mancano all'appello non aggiungono nient'altro che mediocrità ad un album già abbastanza altalenante di suo.

Considerazione finale: se fosse stato un "normale" album di Alice Cooper, la sufficienza politica l'avrebbe potuta raggiungere (forse), ma purtroppo, quello che fa perdere parecchi punti al disco e valore alle canzoni è il titolo che porta, decisamente inappropriato. Decisione molto azzardata. Però, dato che si tratta del vecchio Zio Alice, e che, in fondo, mi sento quasi un suo grande fan (brrrr), mi sento troppo altruista e clemente per dargli una insufficienza, quindi per questa volta chiuderò un occhio. Dopotutto, nell'album c'è qualcosa di salvabile, e abbiamo anche l'occasione di risentirci la formazione storica di Alice. Peccato che manchi Glen Buxton...

VOTO = 52 / 100

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