If Linda Blair was my Lolita, her head would spin.
She would levitate, vomit green,
beat a priest - what a teen!
Dick Clark would grin.
And foul things'd spurt without discretion from her tiny mouth.
She'd say: Spank me, spank me, spank me DADDY!
(…)

Get that cross right out of there, girl
You don't know where it's been.
You're 13, underage, into bondage.
It's just a phase. You're too young to sin.
(…)

Chi di voi ha una certa familiarità con l’horror, avrà sicuramente riconosciuto il soggetto di queste strofe: stiamo parlando ovviamente di quel capolavoro di film che risponde al nome de “L’ Esorcista” e, in particolare, di quella sagoma di Linda Blair (la bimbetta indemoniata, protagonista del film) celebre per aver vomitato in faccia ad un prete una sbobba verde (in seguito identificata, appunto, come zuppa di piselli) in una scena del film: una trovata che non piacque per niente alla chiesa cattolica. E questa è storia (cinematografica).

L’interrogativo è: a chi avrebbe potuto venire in mente di dedicare una canzone d’amore a tale fanciulla ? Ma a Tony Antona ed ai suoi folli Alice Donut, ovviamente! La band, proveniente dal tetro New Jersey, si formò nel 1987 e, pare, fu messa sotto contratto da un’entusiasta Jello Biafra dopo appena 3 concerti, diventando un pilastro della celebre scuderia Alternative Tentacles, che ha pubblicato tutti i loro dischi.

Questo è il loro esordio, datato 1988, ha già in sé tutte le qualità che caratterizzeranno il loro sound: post punk con echi di hard rock e psichedelia, fortemente caratterizzato dalla psicotica voce di Antona, a metà tra un Black Francis (Pixies) ed un Gordon Gano (Violent Femmes), che sembra sempre in bilico tra una crisi isterica ed un’ esplosione di rabbia omicida.
I testi, tutti permeati da un cinico black humor, parlano di violenza, sesso, religione e depravazioni varie. A titolo d’esempio si può citare, oltre alla già detta “Green Pea Soup”, la nevrotica “New Jersey Exit” (dove si parla di ragazzini che, dentro al garage, si suicidano con i gas di scarico dell’auto di papà) o la ballata “Joan Of Arc”, dedicata alla celebre martire francese (“… you hot little catholic bitch…”).

Ascoltando, ci si accorge di quanto sia eterogenea la loro musica, che spazia da pezzi punk melodici come “Bedpost” e “World Profit” che evocano i Buzzcocks, a cose più lente come la quasi-hardrock “Great Big Big Big Head” o le stralunate “Mad Dogs On A Bone”, "American Lips” e “Tipper Gore”, relativamente vicine allo stile dei primi Pixies. In “Windshield Of Love” lasciano spiazzati, cimentandosi addirittura in un country western sincopato, cantato da qualcosa di simile ad un cowboy con seri problemi di schizofrenia.
Sono i tipi giusti per una rilettura acido/distorta della celebre “Sunshine Superman”, di Donovan (appartenente al suo periodo più psichedelico, ovviamente). “Deathshield” comincia con un lungo ed inquietante campionamento di gemiti, ansiti, conati e versi gutturali che introducono la musica: lenta e disperata, in odore di Flipper.

L’album si conclude con la scatenata “I Want Your Mother”, introdotta da un esilarante siparietto dove una voce commenta una famosa scena del film Easy Rider (dove George, cioè Jack Nicholson, fuma per la prima volta dell’erba). Gli Alice Donut sono un gruppo a cui non sono stati tributati tutti gli onori che avrebbero meritato: il loro è uno stile originale, che per certi versi si rifà all’attitudine surreal-demenziale dei Butthole Surfers, ma da cui comunque si differenzia per la maggiore orecchiabilità ed immediatezza delle composizioni.

Ascoltateli se cercate qualcosa di diverso dal solito gruppo punk hardcore californiano, non ve ne pentirete.

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