Gli Alice In Chains non sono una semplice grunge-band, sono il miglior gruppo degli anni '90 e "Dirt" rappresenta il loro capolavoro assoluto: un disco che appena lo ascolti ti conquista e ti penetra nelle vene con una virulenza che "Nevermind" e "Ten" (e parlo di due dischi che apprezzo tantissimo, specie il primo) neppure si sognano. Merito dell'attitudine più heavy metal rispetto alle altre band della scena di Seattle e soprattutto grazie alla voce sempre intensa, aspra, sofferta ed emozionante dell'indimenticato Layne Staley.
E' proprio il grido di Layne che accompagnato dalla chitarra distorta di Jerry Cantrell che da inizio a "Them Bones": veloce, folgorante e disperata: degna erede di "We Die Young". Altrettanto bella e incazzata è "Dam That River", segnata da un refrain davvero travolgente (Grazie Layne) "Rain When I Die" è più psichedelica, distorta e riverberata, autentica perla con un ritornello da brividi, che ci trasporta a una delle ballate più intense, struggenti e disperate mai composte nella storia del rock. "Down In A Hole" lascia con il fiato sospeso per l'intreccio perfetto delle voci di Jerry e Layne, POESIA PURA. Appena il tempo di aprire gli occhi e un riff tribale di batteria ci scaraventa nell'inferno di "Sickman", dove si fondono rabbia, riflessione, consapevolezza della propria impotenza contro l'eroina. Poi tutto cambia, un lieve arpeggio ci trasporta indietro nel tempo, fino alla guerra in Vietnam, narrata dal punto di vista del padre di Jerry, soprannominato "Rooster". Magistrale la prestazione del duo Jerry-Layne, che regala al rock uno dei brani più intensi di tutta la sua storia.
Chiusa la parentesi poetica si ritorna bruscamente alla droga, con uno delle canzoni più oscure e diffici del disco: "Sickman" è l'outing di un uomo disperato che sa di non poter far niente per liberarsi dalla dipendenza che lo porterà alla morte. Si arriva quindi a "Dirt", che è l'essenza stessa dell'eroina tradotta in musica dal riff fastidioso e distorto di Jerry e dall' impressionante ritornello dove le voci del cantante e del chitarrista tornano a fondersi creando un atmosfera assolutamente impossibile da ripetere. Secondo me il brano migliore del disco. "God Smack" è carina, ma abbastanza lontana dagli standard del disco, mente "Hate To Feel" è una sorta di blues malato vagamente Nirvaniano. "Angry Chair", che racconta il triste passato di Layne inizia con un giro di basso che la fa assomigliare a una "Come As You Are" più distorta ed echeggiante: assolutamente ipnotico l'andamento della canzone, con un ritornello che fa tremare nel profondo.
L'ultima traccia, la leggendaria "Would?" è dedicata a un altro enorme protagonista della Seattle Scene, Andrew Wood dei Mother Love Bone: si tratta di un vero e proprio inno generazionale che chiude il disco più bello, intenso e disperato a livelli inarrivabili non solo dalle band odierne ma anche dai vari Pearl Jam, Soundgarden e Stone Temple Pilots. Forse solo "In Utero" dei Nirvana si avvicina a questo, pur avendo uno stile totalmente diverso.
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