Tutti vedono in "Dirt" il capolavoro degli AIC, ma si sono dimenticati il loro debut album, disco d'oro nel 1990 e con mezzo milione di copie vendute solo in U.S.A., concepente della frustata generazione che imperversava in quegli anni. Influenzato dal rock ledzeppeliano, possedente di un suono metallico e di una atmosfera psichedelica, "Facelift" è per me il vero capolavoro della band, senza nulla togliere allo splendido "Dirt".

L'album abbraccia molte influenze, a partire da quello "heavy" di un metal abbastanza vecchio e stagionato. La voce di Staley è sincopata, riuscendo a dare una grande aggressività nei momenti giusti. Una voce esaltata, pungente che non smette mai di emozionare, risultando pezzo forte dell'album assieme a Cantrell: la sua implodente chitarra strida, rovente e agonizzante. I riff, lenti, duri e incisivi, sono sostenuti per la quasi totalità del disco, distorcendo le tormentate melodie. La base ritmica è cadenzata, ma ad ogni qual modo feroce, sempre pronta a star dietro a suoni sanguigni.

Arrivato nel periodo antecedente a "Nevermind" dei Nirvana, il disco porta gli AIC nel mondo della musica, consacrandoli come una delle migliori band del periodo, anche se molto diversa dai gruppi grunge che sfollarono nella cosiddetta epoca di Seattle.
Laney, vera anima del gruppo, guida i restanti tre membri in sonorità ruvide e dure, regine indiscusse di "Facelift". I brani scorrono densi e truculenti, con un senso di paranoia assurda, tanto da riuscire a scartavetrare completamente la materia grigia del cervello umano.
La profetica "We Die Young", singolo di enorme successo, e la punzecchiante "It Ain't Like That" sono episodi con maggiori contenuti metallici. Il rock alla Black Sabbath si sente nell’indimenticabile "Man In The Box".
Ipnotiche "I Can't Remember" e "Love, Hate, Love" che si susseguono in un incedere che progressivamente cresce, fino ad arrivare al canto triste di Laney.
L'allegra ipocrisia di "Sea Of Sorrow", amorosa terza traccia, anticipa l'angoscia di "Bleed The Freak". Belle e intense anche "Sunshine", "Put You Down" e "Confusion". Energico grunge è espresso da "I Know Somethin' ('Bout You)", che precede nella scaletta l'ultima song del disco, ritenuta da me la più bella di tutto il cd.
"Real Thing" avanza decisa e incalzante, pressa costantemente e offre un ritmo trascinante, assimilando gli aspetti bui del genere.

Tutte queste stupende canzoni racchiuse in un unico grande capolavoro grunge.

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