Il Monte Rainier è un vulcano alto quattromila metri che sovrasta Seattle. Bellezza naturale e forza della natura potenzialmente terrificante: entrambe le cose contemporaneamente.
Solo la musica degli Alice In Chains avrebbe potuto efficacemente sintetizzare un contrasto del genere. Ed ecco che il terzo lavoro dalla “rinascita” con William DuVall viene battezzato proprio “Rainier Fog”, in omaggio a quella scena di Seattle che è stata la culla di un sound indimenticabile. Gli Alice In Chains non si sono mai persi d’animo, ricostruendo ex novo una carriera dopo la dipartita del mai abbastanza compianto Layne Stayley e ripartendo nel 2009 con un album tanto discusso (prima dell’uscita) quanto incredibilmente bello, “Black Gives Way To Blue”, al quale fece seguito quattro anni dopo l’altrettanto valido “The Devil Put Dinosaurs Here”.
Per questa nuova avventura Cantrell e compagni vanno sul sicuro: piazzano alle manopole il mostro sacro Nick Raskulinecz e registrano in quattro studi diversi (tra la natìa Seattle, Los Angeles, Nashville e Pasadena), plasmando un sound che è (ovviamente) cento per cento Alice In Chains, ma si allontana dalla monoliticità forse un po’ troppo marcata del lavoro precedente per addentrarsi in territori più vari e diversificati.
Come detto, il marchio a fuoco c’è eccome, basti pensare al primo singolo “The One You Know”, piazzato sapientemente in apertura e seguito dallo splendido omaggio alla scena di Seattle della titletrack. Jerry Cantrell, che firma da solo entrambi i pezzi, è assolutamente ispirato e la macchina gira che è una meraviglia. Gli episodi co-firmati da altri membri della band aggiungono varietà e complessità al tutto (“Red Giant”, la ballatona “Fly” – in forte odore di “Down In A Hole” - , la sabbathiana “Drone”, la lunghissima e conclusiva “All I Am” – per amor del vero anch’essa parto del solo Cantrell). E’ tutto talmente coerente che la scelta di inserire in scaletta un pezzo morbido (si fa per dire) come “Maybe” (addirittura sensazioni beatlesiane nell’intro) non stona assolutamente, specialmente se poi troviamo a far da contraltare la ruvidissima “So Far Under”, sorprendentemente composta dal solo DuVall e scelta come secondo singolo (il che fa capire quanto ormai il buon William sia ormai integrato all’interno della band, se ce ne fosse ancora bisogno).
Gli Alice In Chains proseguono senza guardarsi indietro, nel modo più giusto e più saggio. Qualcuno ha detto che il loro sound non invecchia ma stagiona nel modo giusto, ed è una definizione perfettamente azzeccata. Grande disco e sempre gradito ritorno.
Brano migliore: Rainier Fog
Carico i commenti... con calma