Lontani dall'eco mediatico che in Europa ha sedotto altre formazioni a stelle e striscie, non si può dire che gli Alkaline Trio siano stati finora una meteora evanescente.

Qui siamo agli albori  della loro storia e lontani stilisticamente dalle fascinazioni wave di “Crimson” disco della maturità del 2005 (ma che vorrà dire poi?!) e definitiva loro consacrazione nonché dalla svolta midstream di “Agony & Irony”.

1998. La formazione è il classico tridente alcalinico: Matt Skiba (voce e chitarra) – Dan Andriano (voce e basso) – Glan Porter (batteria). La differenza rispetto ad oggi è data dall'assenza del fido Derek Grant che sostituirà Mike Feumlee dietro il seggiolino e farà il suo ingresso nella band solo nel 2001.

Sono le note frizzanti della mutevole “Cringe” ad aprire “Goddamnit” seguita a ruota prima da “Cop” poi dal mid-tempo “San Francisco” e dallo scatto repentino dipinto nel loro classico “Nose Over Tail” a farci capire che quelli che abbiamo di fronte sono ancora dei giovani ragazzi con un equilibrio emotivo precario come dimostrano i testi, ingenui e sfrontati come potevano esserlo i Green Day nel 92' quando incidevano “Kerplunk!” per la Lookout: qui muta solo lo scenario non siamo in California, ma nella più grigia e meno affascinante Chicago, Illinois alle rive del lago Michigan, per il resto lo spirito è quello, punk rock nudo e grezzo, spogliato di qualsivoglia pretestuoso orpello.

La Lookout! Del caso qui si chiama Asian Man per cui incideranno sotto di essa due anni dopo anche il best-seller numero #2 “Maybe I'll Catch Fire” che porrà fine al loro primo periodo di attività prima di accasarsi alla Vagrant.

Il riff azzeccatissimo e portante di “Clavicle” riporta subito alla mente la celebre “Dammit” dei Blink-182 e sarebbe interessante capire chi ha plagiato chi, vista l'evidente somiglianza per ritmo e melodia delle due e il periodo di uscita ravvicinato di entrambe. Ma facciamo finta di niente.

Le chicce sono “Enjoy Your Day” e “Sorry About That” in cui Skiba e Andriano si mettono a nudo affidandosi solo alla sincerità delle acustiche e il risultato è perfettamente riuscito.

Da “Goddmanit” a “My Shame Is True” la distanza temporale coperta è notevole, c'è la maturazione di ragazzi oggi consci di esssere diventati uomini a tutti gli effetti.
E per fortuna questa recensione non finirà con la classica speranza rivolta a non so quale divinità di un ritorno agli albori per riaccendere il fuoco ormai spento da anni, perchè diciamocelo le promesse le hanno mantenute, non si può chiedere altro, si può solo dare il rispetto che meritano a quella che col senno di poi rimane la miglior band pop-punk-rock sulla scena. Tanto basta.

Grazie alcalinici.

PS: La versione da me analizzata è la reissue del 2008 quasi identica all'originale di cui mantiene la produzione spartana, non fosse per l'aggiunta del primo demo della band, di una diversa copertina e sopratutto di una miglior resa audio.

 

 

 

 

Carico i commenti...  con calma