Prima di addentrarci nell'analisi del disco vero e proprio, vale la pena mettere le mani avanti e fare qualche considerazione: gli Alkaline Trio sono andati sempre avanti, e difficilmente fanno e hanno fatto passi falsi.

A distanza di poco più di un anno e mezzo dal discusso, ma da me comunque apprezzato, "Agony And Irony", che vedeva l'inizio della collaborazione con una major (Epic), il Trio di Chicago dà un colpo al cerchio e uno alla botte, rompendo il contratto major, per tornare ad una indie, la Heart & Skull (nuova etichetta di proprietà della band), che fa uscire il novello "This Addiction" in partnership con Epitath e Hassle per l'Europa.

Le dichiarazioni filtrate già da mesi da parte del leader Matt Skiba, erano centrate sull'intenzione della band di riscoprire le proprie origini punk-rock e tornare ad un suono più diretto.

Premesse rispettate?

Il platter si apre con l'omonimo singolo di lancio "This Addiction", struttura semplice, ritornello immediato instillato su un groove dinamico. Onestamente come singolo, la scelta sarebbe potuta cadere anche su altri episodi, più interessanti.

Come consuetudine i due cantanti si dividono le parti vocali, ed ecco che su "Dine, dine my darling" (con un chiaro riferimento nel titolo ai Misfits), prende la scena Andriano, che con la sua bella voce più ovattata rispetto a quella più acuta e tagliente del chitarrista, dà voce ad un pezzo tanto immediato, quanto avvincente.

I primi veri colpi alla botte però arrivano con "Lead Poisoning" e "American Scream" cantante entrambe da Skiba, due grandi inni, che diventeranno dei loro classici ai concerti, con un'inedito, ma azzeccato assolo di tromba stile NOFX sulla prima, mentre "American Scream" (il cui riffing iniziale ricorda vagamente quello di "Warbrain") è l'episodio migliore del disco, nonché il pezzo più punkrock, che con la sua costante velocità e un ritornello frizzante in crescendo, rimanda alla dimensione più giovanile e diretta della band, quella di grandi pezzi come "Mr. Chainsaw", "Armaggedon" o "Poison", per intenderci.

In mezzo, a sandwich, delle già citate troviamo l'atmosfera rilassante e quasi inedita di "Dead On The Floor", che si fa forte di un bel riffing. "Off the map" con ancora la voce di Dan Andriano chiude una prima parte di disco positiva.

La seconda parte invece si dimostra essere inferiore alla prima, essendo anche un punto di rottura con la prima e meno canonica, con sonorità più rockeggianti, e ritmi più lenti, e qualche sperimentazione che sembra protarre la band verso il futuro, anziché il passato.

Ne sono un esempio le atmosfere new-wave con annessi synth che passano lo smalto su "Draculina" e la noiosa "Eating me alive", che rimandano molto agli ultimi impalbili AFI di "Decemberunderground", menzione su "Piss and venegar" ritornano a giocare un ruolo più importante le chitarre e l'inspirata, e matura "Dorothy", piena dimostrazione quest'ultima, di come la band riesca a conciare un anima più viscerale e profonda, e un canovaccio prettamente rock, accanto alle loro ormai classiche radici pop-punk.

Con la sua atmosfera quasi campestre e dolce, tra chitarre elettriche armonizzate e un leggero brusio di sottofondo di acustiche, supportata dalla voce del bassista questa volta, cala il sipario definitivamente.

A dispetto del decantato 'back to basics', si può dire che questa riscoperta dei primi lavori, si è verificata solo a metà, sopratutto per quel che riguarda la produzione di Matt Allison (già al lavoro con la band in passato), mai così minimale, spoglia e grezza e poco incline a sovraincisioni, effetti e stratificazioni varie, piuttosto che dal punto di vista del sound, che rimane ancorato, stavolta in maniera più intelligente a quanto visto negli ultimi lavori. Non a caso, escludendo due pezzi, le ritmiche quasi mai vengono forzate, puntando tutto su ben ponderati tempi medi.

Gli inserti di strumenti aggiuntivi, sono infatti ridotti all'osso, in particolar modo si nota l'assenza totale delle tastiere, molto usate nei precedenti due dischi, ed è un vero peccato devo dire, perchè si sposavano alla perfezione con le atmosfere create (si veda "I Found Away" o la stupenda "Into The Night").

Analizzando globalmente la tracklist va detto che non vi sono evidenti cali di tensione, tutto fila via liscio (come suggerisce anche il basso running time), forse troppo, e va aggiunto, che difficilmente i pezzi qui presenti, riusciranno a equagliare le grandi hit passate, che ancora scaldano il cuore dei fan di vecchia data e non. Probabilmente l'assenza di grandissime hit è un po' per certi versi il limite di questo lavoro, unito ad un riffing di chitarra spesso insipido e non soddisfacente, penalizzato forse, anche dalla scelta di spingere sulla produzione minimale a tutti i costi.

A livello di testi come desumibile anche dall'artwork vi è una sorta di concept sulla figura dell'eroina e delle sostanze stupefacenti, che creando dipendenza e assuefazione, e vengono metaforicamente collegate e paragonate ai rapporti amorosi e al sottile filo che lega la vita e la morte. Di questo parla il testo della title-track, ma vi sono anche testi di critica politica come in "American Scream", che tratta di un soldata Americano tornato dall'Afghanistan, poi suicidatosi.

Non sarà il disco dell'anno, ma le idee ci sono e l'opera centra il suo obiettivo di intrattenere e divertire, sebbene va detto che dal Trio ci aspettiamo sempre il disco della vita e della svolta.

A conti fatti "This Addiction" è un lavoro rispettabile, sebbene non crearà quella forte dipendenza e non possiede quegli elementi di spicco, che hanno reso speciali masterpiece come "From Here To Infirmary".

Voto disco 3.5/5

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