E’ sempre bello sentir parlare dei vecchi tempi, di quando si stava meglio quando si stava peggio, guardarsi e perdersi ad intermittenza nei confronti di questo eterno ritorno, e se tale fosse penso a camminare sul cerchietto cercando di vederci una sfera; percepire il moto relativo delle sensazioni tra deja-vù non visivi, ricordi o momentanee ispirazioni che siano, talvolta arrivano a far vivere la malinconia come lato appagante dell’amore.
Ecco, durante il casuale ascolto di questo disco ho seguito la musica come una lunga e sgranata foto orizzontale che pesca tanto nel passato, ed anche se forse se la racconta un po’ da se’, questo blues-revival mi ha preso bien; probabilmente non per colpa sua, per me è stato un disco di ricordi sin dal primo ascolto; cupo, melodico e lento, scandisce il passo, si adagia al freddo dell’inverno e fa aspettare la primavera, ma rimbomba di qualità quanto non fa risuonare nulla di nuovo.
Però nella struttura incuriosisce, avanza sfuggente al di là del blues oltre la soglia dentro il nero* incastrato nella classica effettistica da chitarra, a ritmo verseggia fumoso, canta giovine ed eccezion fatta per qualche tono leggermente paraculo, fa ben sentire lo sporco della musica che vogliono suonare; tutto viene a galla grumoso, blues, psichedelia, stoner, una miscela resa come in copertina, che pulsa, ramifica e fissa esoterica con almeno tre volti, od un volto e tre maschere.
Un gioco di colori e ricordi, stende il telo della musica psicotropa e la chitarra blatera cuneiforme su un approccio quasi cantautorale della voce, le jam spesso scorrono senza coagulare mai e questo basta per darmi uno spunto in attesa di un loro concerto, ma alla fine ho ascoltato un po’ qua e là, pare che ci sappiano proprio fare.
E poi, le caracollanti distorsioni di When god comes back, le movenze cingolate di turno su Swallowed by the sea, il folk d’oriente in Roman dagger ed il meglio blues del disco in Marriage of coyote woman, tutto ciò mi ha piacevolmente inebriato; io sono partito da qui, secondo disco, anno duemilaetredici, e di naturale istinto sono incappato anche nelle più recenti uscite: a quanto pare nel tempo la ruggine è decisamente passata al setaccio, ma in maniera decisamente interessevole, eh.
(*) Ablatik Aldo Vignotti Kavalla Kavalla, nulla cambierà mai veramente.
Carico i commenti... con calma