“Ciò che segue è frutto della mia insaziabile necessità di parlare di uno schizofrenico assassino, cui do inizio ora dopo aver digerito l’ingente, sproposita quantità di Pandoro e annessa crema di mascarpone che ho ingurgitato il giorno di Natale. L’ho digerito solo ieri. Non mi sentirò perciò chiamato in causa nel caso si presentassero fenomeni del tipo svenimenti, conati di vomito o attacchi omicida random tra chi di voi si accingerà alla lettura di ciò che segue”
A me, Jack lo Squartatore, o quantomeno l’immagine di questo serial killer, ha sempre intrigato di brutto. E non è il suo incontrollabile bisogno di smembrare e recidere organi femminili (per la precisione di donnacce il cui mestiere è noto a tutti essere il più antico) ad accendere in me l’interesse e lo scalpore, ma bensì l’alone di mistero (non di Mistero) venutosi a formare dopo la rapida successione di delitti efferati ed enigmatici avvenuti nell’autunno 1888. Neppure la leggenda secondo cui egli andava dando laudano e uva al fine di sedurre le proprie vittime, in modo da seviziarle con più facilità in un secondo momento, stuzzica la mia mente perversa. No. Non è il suo dubbio fare subdolo che attira in me la curiosità verso un depravato assassino. La ragione, semplice ed essenziale, per cui io da sempre sono invaghito di questo losco figuro senza volto e senza nome è una sola: non l’hanno mai preso.
Altri tempi, altri luoghi, altri modi di pensiero, azione e soluzione. Difficile, se proviamo ad immedesimarci, pensare cosa potesse muoversi sotto “l’epidermide della storia, dove pulsa(va)no le vene di Londra”, cosa potesse esserci in ballo quegli anni (se non il giubileo d’oro della regina Vittoria), in quei spazi politici e sociali.
“Ho propria voglia di sviscerare la cosa, come avrebbe fatto il vecchio Jack”.
E allora un giorno della scorsa settimana, complici anche i freddi della febbre post-natalizia, probabilmente causata dagli inconsueti calori e affetti ricevuti in quei giorni di (apparente/indesiderata) festa, sono andato a leggermi TUTTO (oibò, non proprio tutto ma parecchio!) riguardo questo.. “Assassino!!!”
Sì, pare che le abbiano sentite gridare, più di una volta, e sempre la stessa frase, o in questo caso, parola: “Assassino!!!” (“Murderer!!!”). Ma non hanno avuto il coraggio di affacciarsi alla finestra, di osservare il ponderato procedimento di asportazione che Jack era così attento venisse messo in atto una volta che la gola della vittima era sgozzata (così ampiamente da quasi recidere del tutto il capo). Idioti.
Ci fossi stato io al posto di questi impressionabili paesani di Londra (e il bello è che il tutto si è svolto sempre nel cuore della capitale anglosassone, il che ci suggerisce che la gente del loco fosse ben abituata agli assassinii notturni) avrei sbirciato, avrei origliato, sarei sceso in strada, sarei stato il primo a dare l’allarme, ad esser testimone di tale opera diabolica. Perché cos’altro è, la storia di Jack lo Squartatore, se non un’opera? Beethoven ha scritto opere, alcune stravolgenti, alcune stravaganti, altre travolgenti. E l’opera di Jack, così come un’opera di Beethoven, Wagner o chicchessia, muove in me un senso di impotenza, sublime e potenza stessa da farmi sentire angosciosamente uomo. Opere diverse, nella sostanza e nella forma, risultato: lo stesso. Io sono qui a divorarmi il fegato perché, diavolo, avrei voluto essere dentro la loro testa. (lungi da me il voler mettere sullo stesso piano due mondi in ogni caso lontanissimi, mi si conceda la battuta)
Insomma io avrei voluto esserci, in quegli anni. Avrei voluto scoprire i cadaveri delle povere esangui, fotografare i loro corpi mutilati e tagliuzzati, i loro occhi vitrei e riflessi nella luce delle fredde mattine inglesi, lungo la strada sporca e grigia. L’odore di putrefazione che sale per i tetti di White Chapel al lento sorgere del sole rosso sangue che si affaccia sulla Londra sanguinolenta di fine secolo. Una Bloody London teatro di uno dei più esimi attori protagonisti che abbiano mai solcato il palcoscenico di quegli anni.
Mi si può dire “Se ti piacciono tanto i cadaveri, quelli né oggi né mai mancheranno”, ma io risponderei istericamente “Ma non è la stessa cosa!!”. E ci potete giurare, cazzoni, che non è la stessa cosa. Io oggi posso andare sul web, ripercorrere la scena del crimine grazie alle telecamere, le quali come diceva un poeta da poco scomparso, “hanno preso il posto di Dio”. Posso guardare, grazie alla TV, le macchie di sangue sull’asfalto dove l’omicidio è avvenuto. Posso ascoltare le parole del killer, intervistato da enti nazionali i quali pensano bene di sbatterci in sottofondo un pianoforte pensando che io, pio io, possa muovere il mio spirito verso quello dell’ assassino il quale, almeno la TV vuole dare l’impressione, ha un motivo di cuore per aver compiuto ciò che ha fatto. Posso anche leggere il libro scritto dall’assassino, così da avere il quadro completo del contesto entro il quale egli ha operato. O posso leggere il libro nel quale egli vuole discolparsi (esempio su tutti, la Franzoni)….. ma amici miei rispondetemi, sono assassini questi?
Come direbbe Walter, l’amico di Drugo ne “Il Grande Lebowski”: “Questi sono dei cazzo di dilettanti!!”
Ecco perché volutamente mi dimentico di avere le orecchie quando passano notizie di cronaca al TG regionale o nazionale o internazionale (beh, magari non sempre sempre): perché la cronaca di oggi fa cagare! Pazzi cocainomani che uccidono bambini a scuola… che gusto c’è?
Ed è quindi molto più interessante andarsi a leggere di Jack Squartatore, spulciare le biografie delle vittime (tutte, e dico tutte prostitute divorziate, madri di figli ripudiati o abbandonati, dedite all’alcool e alle relazioni doppiogioco), ripercorrere il degrado di Hanbury Street o Mitre Square e pensare: “Solo i muri di quelle stradine sanno veramente com’è andata”. Ma più che sapere com’è andata, perché com’è andata lo sappiamo a linee generali tutti, quei muri sapevano soprattutto chi, conoscevano l'autore dei misfatti.
E chi era Jack the Ripper? Se questa recensione contenesse la risposta assoluta sarebbe riscattata da un senso di fondo della quale essa non è data avere. Non ho la risposta e di conseguenza il mio scritto perde finalità, scalpore, senso.
Ma avrei tanto voluto vivere quegli anni di innovazione, e allo stesso tempo di tetro spaesamento, in un mondo, in una città crudele e di ghiaccio. Avrei voluto essere Jack the Ripper?
Non diciamo fesserie, per quanto dalle mie parole si evinca il mio crogiolarmi nel sangue e nella putrescenza, io non sarei mai potuto essere uno squartatore di professione, ma mi sarebbe piaciuto bazzicare da una fumeria d’oppio a un’altra come il protagonista della pellicola di cui mi sono spudoratamente servito per parlare di un piccolo nervo (Jack, appunto) riscoperto durante queste vacanze invernali. Però il film del 2001 l’ho rivisto, e molto volentieri.
Ho pensato, “beh, dato che mi sono fatto una giornata dedicata a questo grande serial killer, perché non rivedermi il film?” L’ultima volta che l’ho visto avevo tredici anni. L’ho rivisto alla soglia ormai dei ventuno, e mi hanno colpito, di nuovo, le atmosfere cupe e sporche della Londra vittoriana, realizzate con sagace efficacia, oltre alle frequenti apparizioni del vulgo malato, sudicio e a tatto meschino e sprovvisto di pietas. La telecamera che apre il film avanza per le strade bagnate e la visuale in prima persona mi catapulta in questo mondo non così lontano come potremmo pensare.
Ho rivisto l’incredibile Joseph Merrick alias Elephant Man, tanto fisicamente orrido quanto spiritualmente ricco, nonostante la sua apparizione sia fugace la sua persona ha avuto altri alti riconoscimenti cinematografici come il gioiello di David Lynch nel quale il suo spirito pregno di poesia e umanità viene elevato e gratificato.
Johnny Deep recita la sua parte, ovvero fa Johnny Deep in versione ottocentesca, ma devo dire che la sua presenza in questo film non arreca danni alla sceneggiatura, e alla fin fine, nonostante la sua spropositata autoreferenzialità (soprattutto negli ultimi anni), come attore, non dico sempre ma quasi, mi garba assai. Mi piacciono le prostitute nel film, ad hoc per interpretare il loro ruolo: vittime senza via di scampo. La loro esecuzione è premeditata e del tutto ignara al frutto del caso: la l loro morte è sistematica ed ineffabile, le tecniche della loro dipartita brutali anche se non curatissimi come si aspetterebbe un perverso del mio grado. Quando avevo tredici anni confesso mi bastarono così come sono.
Un superbo Ian Holm…
SPOILER
Ad ogni modo la tesi secondo cui l’uccisore di meretrici fosse un uomo fidato del governo britannico non è stupida come si potrebbe credere, tutt’altro. Lasciando stare per un secondo i tempi in cui si svolge la trama (nella realtà tra le prime due vittime e la terza, per esempio, trascorsero ventidue giorni, mentre nel film sembra succeda tutto nel giro di pochi giorni), l’idea che si dovessero mascherare le nozze avvenute tra un regale e una ragazza di strada togliendo di mezzo le amiche testimoni è carina anche se regge poco: nella scena del matrimonio si può facilmente notare come fossero presenti altre persone oltre alle cinque sventurate, di conseguenza Jack avrebbe dovuto uccidere anche loro. Magari le hanno pagate insieme al prete in modo tale da farle tacere.. chi lo sa!
FINE DELLO SPOILER
Lasciando però perdere il film, di cui comunque consiglio la visione, mi resta un nervo scoperto: perché Jack lo Squartatore avrebbe ucciso delle prostitute? Perché in alcuni tempi lontani tra loro? Perché in una zona socialmente degradata come White Chapel? Che la Regina Vittoria, alla soglia dei cinquant’anni di governo abbia voluto dar inizio allo sgombro di depravazione sociale mettendo fuori gioco delle ragazze di strada? Parrebbe improbabile, un inutile spreco di tempo e danaro. E se come il sottoscritto andaste a dare un’occhiata alle vite di queste clacson girl (certo i clacson all’epoca non c’erano..) vi accorgereste dell’insulsaggine della loro esistenza fino al momento del loro trapasso, dunque la loro morte resta un mistero; senza contare che Jack non l’hanno mai preso, e ancora oggi ci si domanda chi mai fosse l’individuo con mantello e tuba che andava in giro a rovistare tra gli organi femminili con accurata meticolosità (per non dire professionale abilità). Io resto dell’idea che non doveva essere uno scemo qualunque, e forse nella realtà come nel film egli doveva agire sotto copertura, o non si spiegano i tempi dei rinvenimenti delle vittime strettamente vicini a quelli dell’esecuzione delle stesse (e asportare reni, vagine e stomachi non è esattamente come potare le piante in giardino).
Per non contare il grattacapo delle sinistre lettere di scherno recapitate dalla polizia di Londra, smarrita e impotente di fronte alla forza dirompente dello squartatore: non avevano neanche una parvenza di colpevolezza che di fatto come al solito si incolparono gli ebrei, i quali anche stavolta le buscarono.
Insomma, questo sì che è un assassino! Squarta. Recide. Scompare. Sfotte gli sbirri. Un lavoro a 360°. Ci manca solo che con i soldi guadagnati dalle sue esecuzioni (e resta anche questo piccolo cruccio, se i suoi omicidi fossero l’ombra della volontà di un qualcheduno, molto probabilmente sotto pagamento) si sia ritirato in un’isoletta sperduta, e saremmo di fronte al più ganzo tra i serial killer mai esistiti.
Il film è un veicolo di assaporamento del clima macabro e funereo di quegli anni, i sempre presenti rintocchi funesti delle campane accompagnano il nostro viaggio nel tardo ottocento inglese, tra prostitute scollate e sboccate e sudici barboni infreddoliti, tra un tiro d’oppio e un sorso d’assenzio e un cenno d’intesa con quel guascone di Joseph Merrick; eppure la pellicola e le sue ambientazioni non soddisfano appieno questa mia volontà di rivivere passo passo la vicenda: mi ci vorrebbe una macchina del tempo, mi ci vorrebbe una macchina, mi ci vorrebbe del tempo: ma io tutte queste cose al giorno d’oggi dove le trovo?
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