Estate 2004. Il Presidente George Walker Bush è faticosamente alle prese con la Guerra in Iraq; da Cape Canaveral parte la sonda Messenger, alla volta di Mercurio, dopo trent’anni di latitanza di marchingegni umani dal pianeta. In Norvegia due ladri sottraggono al Museo Munch di Oslo l’urlo di Munch e Papa Wojtyla vigila, affaticato dagli acciacchi, sulle brutture di un mondo da poco sconvolto dai fatti dell’11 settembre.
In tutto questo marasma, la musica continua a seguire il suo corso, scandendo il tempo e gli eventi.
A Tallahassee, in Florida, dopo nove anni di attività, tre album prodotti (con ventitremilioni di copie vendute) e un successo senza pari, si sciolgono i Creed, lasciando un profondo solco nel panorama post-grunge del vecchio secolo. La cronaca racconta di una rottura dovuta a dissapori tra il frontman Scott Stapp e il resto della band. Saranno il chitarrista Mark Tremonti, il bassista Brian Marshall e il batterista Scott Phillips a concretizzare il divorzio, al cospetto delle recidive comportamentali di Stapp, che è ormai l’ombra di se stesso.
Nel frattempo, a Spokane, un giovane talentuoso maestro di chitarra originario di Boston, tale Myles Kennedy, vaglia numerose proposte, mentre sfoglia l’album di ricordi dei suoi Mayfield Four, scioltisi meno di due anni prima, dopo un meritato fugace successo. Nonostante la corte insistente di Slash (alla quale poi cederà in futuro) e dei Velvet Revolver, deciderà di accettare la proposta di Mark Tremonti e degli ex Creed superstiti, con i quali Kennedy e i Mayfield Four avevano collaborato anni prima come opening band, durante alcune date live nella terra dello Zio Sam.
Nascono gli Alter Bridge e il 10 agosto dello stesso anno esce l’album d’esordio della band di Orlando: “One Day Remains”.
La copertina, che ha le sembianze di un dipinto a olio ed è stata realizzata (come le successive) da Daniel Tremonti, fratello di Mark, racchiude il significato del moniker della band. Il ponte (bridge) citato, si trova a Detroit, tra Alter Road e Riverside Boulevard, dove vivevano da piccoli i fratelli Tremonti.
Il titolo dell’album, che ha “rischiato” inizialmente di essere il nome della band, proviene da una frase del film “Donnie Darko” e si ispira alla vita, pensandola come se fosse racchiusa in un unico ultimo giorno da vivere appieno.
I riff e le sonorità, proprie dei singoli estratti di maggior successo come “Open Your Eyes”, “Burn It Down” e la closing song “The End Is Here”, riconducono immediatamente a soluzioni di puro stampo Creed, tanto da portare la critica di settore ad etichettare il nuovo quartetto come “I Creed con un nuovo cantante”. Al di là del fatto che questa osservazione possa essere presa in considerazione o meno, è evidente, come specificato a più riprese da Tremonti, che la vocalità da tenore di Kennedy non abbia nulla a che fare con quella baritonale di Stapp e che la composizione presenti arrangiamenti molto più elaborati rispetto al passato e assoli quasi completamente assenti nella discografia dei Creed. Ne è l'esempio lampante "Down To My Last", dove possiamo apprezzare in particolar modo l'estro e la potenza vocale del frontman. Tornando alla visione globale del disco, a pezzi melodici, riflessivi ed emotivi come “Burn It Down”, “Shed My Skin”, “Broken Wings” e soprattutto la commovente “In Loving Memory” (dedicata alla madre di Mark Tremonti, scomparsa prematuramente), si contrappone la potenza di "Metalingus" (utilizzata dalla WWE per l’ingresso del wrestler The Edge), della titletrack "One Day Remains" e di “Watch Your Words”, che esibiscono potenti assoli sui ritornelli e un bridge di stampo metal. I riff distorti di chitarra, che si palesano prepotenti già dall’opening “Find The Real”, partono esclusivamente dalle sei corde di Tremonti, dato che in questo primo album, Myles Kennedy non imbraccia la chitarra ma pensa soltanto alla voce. La scelta è motivata dal fatto che al momento dell’approdo di Kennedy, la composizione era già stata ultimata e i riff affidati ad un’unica chitarra.
Non è difficile accorgersi di questa particolarità durante i live degli Alter Bridge, dove in pezzi come “Metalingus” in particolare, Kennedy ripone la chitarra dietro le quinte.
“One Day Remains” traccia l’inizio di un percorso artistico fatto di incredibile qualità compositiva e vocale. In vent'anni di attività, durante i quali non è mancata la reunion dei Creed e un nuovo album, la nascita dei progetti solisti di Tremonti e Kennedy, nonché il sodalizio artistico di quest’ultimo con Slash& The Conspirators, gli Alter Bridge hanno pubblicato sette album in studio e quattro dal vivo, fornendo un’impronta sempre innovativa, ben lontana da pause sugli allori, al netto di qualche piccolo episodio poco memorabile.
Possiamo sicuramente sostenere che Myles Kennedy, Mark Tremonti, Brian Marshall e Scott Phillips, abbiano lasciato un'evidente traccia nel panorama hard rock e post grunge degli ultimi venticinque anni. Un panorama troppo spesso accusato di appiattimento o poco estro ma che a conti fatti è evidentemente tutt’altro, grazie anche a band come gli Alter Bridge.
La versione celebrativa di “One Day Remains”, pubblicata con entusiasmo in occasione dei vent’anni dall’uscita del disco, prevede una ristampa su doppio vinile (anche colorato) e contiene la b-side “Save Me”, nonché quattro tracce live, eseguite ai Phase One Studios. Un oggetto che i fan della prima ora non possono non possedere e un’ottima occasione per tornare alle origini e rispolverare il passato di questo genere, facendo conoscere ai neofiti una delle più interessanti band in circolazione. Con un'intera discografia inedita, in questo caso, a completa disposizione.
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