Il mondo va a catafascio. Concetto banalissimo, ma vero.

Vasco Brondi direbbe: "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero". Eh...

I Petrol enuncerebbero: "Cos'è che ti fa sentire normale?". Dovremmo chiederlo a chi di competenza.

E poi ci sono questi ragazzi marchigiani, dediti ad un velocissimo post punk dalle tinte fortemente new wave, di quelle che guardi "Closer" e tutto il 1980 in controluce e hai un chiarissimo spaccato comunitario. Gli Altro. Ma che nome è, Altro? C'è un "altro" da scegliere, ormai? Persino la ragazza in copertina è stereotipata: niente cresta, niente dreadlocks, niente vaporosità extraterrestri, solo una normalissima coda di cavallo.

Fatto sta che siamo qui a parlare del loro nuovo lavoro, "Aspetto", mentre fuori fa freddo, non c'è neve, le vetrine risplendono di una luce apatica e tutti hanno addosso quel sorriso smielato da post-trauma cerebrale, in nome di una festa che, forse, un tempo lo era anche, e che ora si è trasformata in un trionfo di babbi/rossi/bevande/tacchini/soldi.

Bene, questi tre ragazzi cancellano a forza questa grottesca imitazione della felicità con dieci pugni allo stomaco, in sequenza ravvicinatissima, ed un ceffone in pieno volto a rilascio graduato ("Stefano"), che lascia il suo rossore per giorni e giorni. Non hanno pretese commerciali, gli Altro -e ci mancherebbe altro-. Non hanno la smania di salvare il mondo. Non vogliono rivoluzioni. Il loro obiettivo è uno solo: prendere il precedente "Candore", appesantirlo, velocizzarlo, personalizzarlo, renderlo una macchina letale, e poi rilasciarlo. Qualcuno si vergognerà, forse. Qualcun altro lo getterà via. Altri ancora lo ascolteranno ma non ne capiranno il senso. Ma chissenefrega? Agli Altro basta così.

Diciassette è sempre stato un numero iettatore, sin dall'Impero Romano. Questo, grazie ad un casuale anagramma del grafema cifrico, che da XVII veniva ad essere VIXI (vixi, nel senso: ho vissuto, ora sono morto, da qui la discendenza anapotropaica).

Gli Anni Duemila portano sfortuna. Embè? Chi affermerebbe mai il contrario?

Facciamo rapidamente due più due, sfiga + sfiga. La soluzione, a questo punto, è una sola: schiaffare in tutta fretta diciassette minuti di post punk venato di new wave -abbiamo detto, no?-, meglio ancora se privo di pause e respiri, mettere in piedi delle liriche (ma questo agli Altro è sempre venuto bene) e confezionare tutto sotto forma di compact disc. Il tiro è terrificante. Provare per credere.

Il suono non si ferma mai: in teoria i brani sono undici, in sostanza il blocco sonoro è unitario, minimale, con una chitarra, un basso, delle percussioni, ed un cantante che urla tutta la sua rabbia, senza pericolo di andare in apnea. Diciassette minuti che, tuttavia, non debbono essere etichettati come "macello sonoro", perché non lo sono: più che violenti, i timbri sono veloci e semplici, e fanno bene da contrapposto ai testi brevi e taglienti. È un disco che bene assorbe il grigiore della realtà circostante, che trasuda una frustrazione matura, fra un reale che non perdona.

Ci si sentono CCCP, sporadicamente qualcosina dei Black Flag meno hardcore, il più delle volte i Joy Division, in queste undici istantanee. I titoli, tranne che in un paio di casi, sono composti da una sola parola: si riferiscono a nomi di persona, al quotidiano, ad imperativi categorici o participi ammuffiti. Nomenclature piatte, secche, dove non è contemplata l'alternativa. Stai a vedere che quell'Altro è proprio una presa in giro?

Ci sono i timbri marziali e i watt acidi ("Canzone Di Andrea"), i nonsense circolari, in una graduale e nevrotica sovrapposizione ("Passato", primo singolo, ed il suo continuo "Ho fatto la pace col mio passato/ ho preso un libro sui Templari/ da quando ho fatto la pace col mio passato/ ho preso un libro sui Templari"), i sintetizzatori distorti e brumosi ("Stefano", che più nuova onda di così non si può), c'è il basso che si fa propulsore e sventaglia una sezione ritmica martellante ("Federico"), la rassegnata acustica cantautorale di "Smettere" e "Chiuso", tra Babalot e Massimo Bubola ("Così ora lo sai/ quanto è servito nascondersi/ ora che tutto è così/ com'è diverso da prima"), ci sono le urla sconclusionate ("31/12", che sembra proprio il crepuscolo e l'abbruttimento della forma/canzone), i riff catodici e opprimenti, arrotati e diretti, come nella cavalcata percussionistica di "Barnaba" ("Non fare passare nessuno/ non fare pensare nessuno"), o nei saliscendi di "Colpito" -assolutamente brondiana-, o ancora nella velocità di "Ramirez". Ah, dimenticavo: lo sguardo della monotonia arriva, come in uno spot pubblicitario contorto e scorretto, in "Quadro A.", forse la migliore del lotto.

Per ritrovare voi stessi e la vostra vita, date un ascolto a questo cd. Io l'ho fatto, e ora, è il caso di dirlo, non Aspetto Altro.

Carico i commenti...  con calma