Parlare di "prog americano" deglia anni 70 è un po' una contraddizione in termini. Gli States hanno accolto con una certa freddezza quella musica così colta, cervellotica, difficile, manifestando maggiore inclinazione verso la psichedelia, il blues-rock che provenivano da oltreoceano. Certo, l'onda lunga dei tour dei Genesis, Yes, King Crimson non avevano lasciato del tutto indifferente il nuovo continente, ma a fronte di un genere che ha dominato per circa un decennio la scena europea, l'espressione del prog americano è stata davvero trascurabile se raffrontata con la mole della produzione musicale di quegli anni. Fatti salvi i Rush (che poi erano canadesi), sono pochi i gruppi americani che si sono prodotti in incursioni dal vago sapore prog. Possiamo citare sicuramente i Pavlov's Dog e i Kansas, qualcosa che somigli al prog è presente nella produzione degli Utopia e di Frank Zappa...c'erano poi gli Ambrosia.

Il gruppo di Joe Puerta (basso), David Pack (chitarra), Burleigh Drummond (batteria), Christopher North (tastiere) però con il prog aveva davvero molto a che fare, non per altro se non per il fatto di essersi plasmato dopo la turneè americana dei King Crimson del 1969. I quattro ne rimasero davvero folgorati e dopo qualche anno misero in campo un lavoro che aveva davvero molto a che fare con il progressive europeo. La parabola degli Ambrosia si concluse negli anni 80 effettivamente con l'inclusione del gruppo nelle fila dei gruppi soft-rock (fra gli Orleans e i Pablo Cruise), di cui divennero una espressione compiuta e completa, ma il loro inizio fu decisamente progressive.

Il loro primo lavoro, "Ambrosia" del 1975 è un disco che porta alta la bandiera del progressive anche sul suolo americano. La struttura delle composizioni, le digressioni delle tastiere, le voci narranti fuori campo, si muovono proprio in questa direzione, risultando spesso convincenti e misurate, sebbene l'album manchi di una "suite", molto cara alle composizioni del progressive più classico. Si colgono note più "pop", è vero, ma come pensare di far andare giù quella musica agli americani senza "addolcirla" un po'."Ambrosia" comunque resta innegabilmente un disco prog, creato con quell'intento e riuscito nella sua realizzazione. E' vero, si coglie qualcosa di ELP, degli Yes e della scena di Canterbury, ma il disco mantiene ancora un suono personale e questo fa onore ai quattro.

La nota curiosa al termine di questa recensione riguarda la produzione che si avvalse di Alan Parsons come tecnico del suono. Questa formula gli valse un Grammy come Best Engineered Recording. Gli Ambrosia ricambieranno il favore suonando nel primo lavoro di Parsons Tales of Mystery and Imagination dello stesso anno (giusto per farvi capire che non erano quattro pippe).

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