Tolto quel gran volpone di Puccini, il destino di tutti i principali operisti italiani del dopo Verdi è stato più o meno il medesimo: un solo lavoro entrato stabilmente in repertorio, tutto il resto più o meno accantonato se non dimenticato del tutto. Cilea, Leoncavallo, Zandonai, purtroppo anche Giordano e, peggio ancora, Mascagni: si potrebbero scrivere interi trattati sui perchè, che in parte variano da caso a caso, ma la prima "one opera wonder" post-verdiana viene prima del verismo, prima della "giovane scuola" a cui appartengono i compositori citati in precedenza: Amilcare Ponchielli, appunto, compositore cremonese passato nel giro di pochi anni da seconda linea a nuovo numero uno dell'opera italiana, per poi ripiombare quasi istantaneamente nell'anonimato, lasciandosi dietro solo... beh, lasciandosi dietro solo una delle più opere più vivide, più appassionanti, più sontuose, più belle del repertorio italiano della seconda metà dell'800.

La Gioconda ha quasi tutti gli stilemi della cosiddetta Grand Opera, un'estremizzazzione stilistica di origine prevalentemente francese, che ha avuto nel grande Giacomo Meyerbeer il suo massimo esponente, di gran moda nelle decadi centrali dell'800, e di cui il Don Carlos di Verdi è probabilmente l'esempio italiano più famoso: ambientazione storica, molto "altisonante", elementi politici e religiosi incorporati nel dramma, orchestre e cori di taglia XL, forme rigorosamente chiuse, grandi arie, grandi scenografie, balletti e altri effetti speciali, durate spesso ben superiori alle tre ore; come gia si può intuire dal nome, quindi, tutto pensato e realizzato su grande scala. Nella Gioconda c'è tutto questo tranne la durata, che si limita a circa due ore e quaranta minuti, il che ovviamente rappresenta un vantaggio in termini di snellezza ed efficacia nello sviluppo della vicenda. E, a proposito di vicenda, con Arrigo Boito come librettista si và sempre sul sicuro: come anche in Otello e Falstaff, anche qui lessico chiaro, diretto, privo di qualsiasi ampollosità ("Ed io l'amo siccome il leone ama il sangue", non so se mi spego) e grandissima capacità di scrivere personaggi complessi, multidimensionali e pieni di colore, soprattutto nel caso della protagonista e di Barnaba, un antagonista molto verboso, astuto, con un movente e un modus operandi perfettamente tratteggiati e credibili, il suo apice lirico è l'aria "O Monumento", in cui esprime tutta la sua malevolenza e rancore in una forma comunque elegante e molto melodica, in linea con il resto dell'opera.

La Gioconda è un'opera completamente calata nella sua ambientazione storica, l'opulenta Venezia rinascimentale, che non è solo uno sfondo ma a tutti gli effetti un settimo personaggio principale, che vive e partecipa al dramma attraverso cori e danze, basti pensare alla Furlana nel primo atto, incisiva e vivace, un ballo popolare che fà da contraltare all'aristocratica ed elegante Danza delle Ore, su cui mi pare del tutto superfluo aggiungere qualsiasi commento e considerazione. Comunque, a proposito di melodie, non mi è ancora capitato di ascoltare un'opera "seria" così spudoratamente pop, nell'accezione migliore del termine; dicevo prima di "O Monumento", figuriamoci tutte le altre arie: il duetto "Anatema ... L'amo come", momento divinamente passionale ed elettrizzante, la romanza "Cielo e Mar", con quel soave finale in crescendo, insuperabile nella versione di Carlo Bergonzi, perfino la stessa "Suicidio!", tutte melodie imitate e riprese fino alla nausea nella musica leggera italiana, almeno fino agli anni '60 del '900, forse in quell'ambito solo Puccini è riuscito a creare degli archetipi altrettanto duraturi.

Penso che, per un soprano spinto o drammatico, la Gioconda, personaggio così passionale e orgoglioso fino alle estreme conseguenze, sia uno dei ruoli più belli e più impegnativi da interpretare: richiede una vocalità decisa, piena, diretta, astenersi interpreti finto-sensibili con le loro vocine artefatte, nasali e sussurranti, in "Suicidio!", con quel finale drammatico, che si spinge al limite basso del registro sopranile ci farebbero una ben misera figura. Non che sarebbero meglio nel resto del ruolo, o in qualsiasi altro ruolo se per questo, ma restiamo in tema: nel suo contesto artistico e storico, il melodramma italiano di metà-fine '800, forse l'unica opera paragonabile in termini di "feeling" generale e ricchezza melodica e drammatica è il Ballo in Maschera di Verdi, che però non ha personaggi così realistici e sfaccetatti, almeno non ai livelli della scrittura di Boito, detto questo, detto tutto. E se ci fossero altre opere di Ponchielli che riescono anche solo ad avvicinarsi ai livelli della Gioconda, allora ci troveremmo di fronte a un altro grande compositore che ha raccolto meno di quanto meritasse, su questo vedrò di indagare in futuro.

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