Chi l'avrebbe mai detto? Probabilmente ormai persino i genitori si erano rassegnati e avevano dato per dispersi i loro figlioli prodighi, mettendoci sopra la proverbiale pietra, eppure gli Amon Düül II; lungi dall'essersi imborghesti, sembrano perlomeno aver quasi messo la testa a posto.
Infatti dopo la gioventù, passata nella selva nera, a suon di baccanali orge psichedliche, veri e proprio inni all'anarchia e al chaos, quali furono il divino (haha, l'avete capita?!) Phallus Dei e, il se possibile, ancora più spettacolare e monolitco Yeti, i nostri cominciarno invero già al terzo album qualche primo accenno di "stanchezza".
Ma d'altronde è fisiologico un, per quanto leggero, calo; non saremmo tutti stanchi dopo tutti quei deliri? E sebbene la selvatichezza (esiste come termine? boh!) fosse un pelino calata, alla fine l'ispirazione e la genuinità erano ancora tante da permetterci facilmente di sorvolare su tutto ciò, piazzando anzi volentieri altri 5 pallini al terzo parto della comune, Tanz Der Lemminge; ma fu a partire dal quarto che fu evidente, più o meno a tutti, che la svolta accennata nell'album precedente, era il nuovo corso che il gruppo intendeve seguire.
Infatti da li in poi, complice anche il cresciuto "successo" del gruppo, i deliri e le improvvisazioni più estreme, finirono man mano in secondo piano, per far spazio ad una follia più lucida e contro llata, che non cercava più ad ogni costo di spezzare i limiti del formato canzone e della melodia, ma di convivere con essa.Insomma, i nostri beniamini usciti dalla foresta, decisero di tornare alla civiltà, rimmetersi i vestiti e magari anche di darsi una rasatina, giusto quel poco per rendersi un minimo presentabili nella società che conta.
E sebbene ciò avrà sicuramente spinto più di un fan oltranzista della prima ora a gridare al tradimento, non solo musicale, ma anche ideologico-politico; noi illuminati portatori del pensiero relativista e figli del post-ideologismo del XXI secolo, abbiamo imparato che il mondo anzichè in bianco e nero, è dipinto in un'infinità tonalità di grigi.
Proprio per ciò, per quanto pronti ad ammettere che in effetti non verranno più raggiunte le vette dell'ambo iniziale (ma d'altronde quanti capolavori pretendete che sforni un gruppo?!), constatiamo senza problemi che anche questa seconda fase della carriera offre di che deliziarci e che il lupo (per rimanere in tema col titolo dell'opera), avrà anche perso un po' del suo pelo, ma sicuramente non il vizio!
E così, l'opera che vi sto presentando, a partire già dalla meravigliosa copertina, rappresenta probabilmente l'album più "maturo" dei Düül, nel quale viene a formarsi un ideale e fragile equilibrio tra le linee melodiche e le asprità psichedeliche del passato; tanto da spingere qualcuno (anche per la presenza della cantante Renate Knaup) a descrivere il tutto come una versione dark dei Jefferson Airplane, paragone probabilmente azzardato, ma che forse chiarirà un po' le coordinate musicali che l'ascoltatore in procinto di ascoltare quest'opera può aspettarsi (ma diciamocelo, dal punto di vista meramente melodico i Jefferson erano sicuramente superiori e, soprattutto, no!, la Knaup non canta come la Slick).
Detto ciò quest'opera merita sicuramente più di un ascolto e potrebbe anzi essere un'ottimo modo di entrare in contatto con il verbo kraut da parte di coloro che avversano le sperimentazioni più ostiche, tipiche di questo genere; non un capolavoro, ma indubbiamente un ottimo e stupendo album, scusate se è poco!
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