Quando la colonna sonora della tua esistenza è diventata la seminale "Bottana" di Tony Tammaro forse è giunta l'ora di farsi qualche domanda. Perché ti sei tagliato la barba ed ora assomigli ad un Begbie di oscuri natali nordafricani con qualche goccia di sangue rasputiniano? Perché la tua alimentazione si basa su carni rosse, salumi di riccio e tasso, pollame depredato dal campo degli zotici lungo il fiume, frutta di stagione ottenuta mediante  un organizzatissimo racket che coinvolge tuo fratello, un paio di vetuste bottane e l'antico eremita che vive di raggiri ai danni dei pochi pellegrini che transitano presso la sua cadente bicocca? Perché quando vuoti in discarica il bidone del vetro ti senti addosso la riprovazione dei più nel vedere l'abnorme quantità di bottiglie di birraglia, prosecco, grappa Bassanina ed altri prometeici liquori?

E così hai deciso di fermare momentaneamente il pacificante andare di una vita trasandata fino all'abbrutimento. Riponi per qualche giorno "Last of the Country Gentlemen", sali sul fienile e nascondi tutti i dischi in cui compare anche solo il nome di David Eugene Edwards, getti tra metaforiche fiamme Hank Williams e quel fuorilegge desolato di Townes Van Zandt. E, con uno sforzo di volontà, inventi i più adatti nascondigli per i più trucidi dei tuoi ascolti. La latrina per GG Allin, la cantina per i Pogues, il deposito di rottami per i Napalm Death, la dispensa degli psicofarmaci della nonna ebefrenica per i Meshuggah, la zona che hai tramutato in un deserto di erbicidi per Captain Beefheart.

Via il fucile con il quale spari ai topi, via l'eterno lurido paio di pantaloni, via i bagni nel fiume tra bisce e incalcolabili birre. Getti in un angolo il tuo sfondato cappello di paglia, la roncola sempre affilata, le sigarette, gli stivali ricoperti di fango, la tua cinica indolenza e la compagnia di sciagurati che frequenti.

Oggi è un buon giorno per incontrare miss Amy LaVere.

Con una voce irresistibile, un contrabbasso alto il doppio di lei e un notevole talento di scrittura Amy fruga tra alghe blues, radici country, sabbie lievemente funky e qualche petalo di rosa pop. E il risultato, "Anchors & Anvils" si lascia sfiorare come una tenue festa lungo il fiume, tra tramonto e notte, carica di illusioni ed erotismo, pervasa di vendetta tanto violenta quanto violento è stato l'amore che l'ha richiamata, percorsa da ingenuità di cui si può sorridere solo dalle vertiginose vette degli anni che passano.

In "Anchors & Anvils", tratteggiate dalla semplicità di contrabbasso, chitarra, fiddle, batteria e mandolino, si nascondono dieci canzoni che, riunite assieme attorno ad un fuoco, si raccontano e ci raccontano di una vita qualunque: dalla delicata rabbia di "Killing Him" alla disperazione ad alto tasso alcolico di "Pointless Drinking", dalla notturna "That beat" alla stupendamente, ingenuamente romantica "Tennessee Valentine".

La bellezza della musica di Amy non svanisce con lo stracciarsi delle ultime vesti della notte: solamente si allontana. Un'ombra di luna rimane nell'alba, pallida come la condensa su un bicchiere dimenticato accanto alla strada dopo una gelida notte di bevute.

Lasciata indietro, come un cappello dimenticato, di cui ci si ricorda quando il vento della realtà riprende il suo ostinato cammino.

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