Rieccola, Amyl, ancora insieme ai suoi Sniffers.

Ed anche se c’è stato un avvicendamento di basista, lei non molla la presa e continua ad andar giù durissima.

È che sono finite le scorte di birra.

Ad Amyl non gliene frega niente di fare dischi e venderli per fare soldi, se si prende la briga di impugnare un microfono è solo per imbucarsi là dove c’è da scroccare una bevuta gratis.

Finiti i tempi delle feste a casa degli amici, è venuto il momento di iniziare a battere i locali di Melbourne e dintorni.

Quei locali dove ti presenti la prima volta e dici di suonare solo cover, e la porta te la aprono e ti passano pure la birra e qualcosa da mettere sotto i denti; la seconda volta, già ti guardano seccati e sbuffano, e di birra te ne passano molta meno, da mangiare nemmeno se ne parla, il resto se vuoi te lo paghi; la terza volta, abbiamo già sentito la tua musica, abbiamo ingaggiato un nuovo gruppo, se vuoi entri ma ti paghi l’ingresso e le consumazioni.

Per questo, a febbraio 2016 Amyl ci si mette d’impegno a tirar fuori quattro canzoni, finite dentro la cassettina «Giddy Up»: le servono per farsi aprire la porta e rimediare qualche bottiglia nel pre, durante e post concerto. Che quelle quattro canzoni siano eccezionali è un dettaglio, un di più utile ad illudere la ragazza di aver talento.

Però quelle quattro canzoni durano nemmeno dieci minuti.

Per cui al concerto suoni quelle quattro, una decina di cover e magari arrivi ad intrattenere mezz’ora, perché Amyl e gli Sniffers suonano veloce e quello che hanno da dire lo riassumono in un paio di strofe, non è che serve ricamare tanto sulle solite vecchissime storie di sesso, alcol e rock’n’roll.

Un po’ come i Ramones, cui per farsi capire bastavano sovente quattro righe di testo.

Poi, ad Amyl, quando era una graziosa scolaretta, insegnarono che la storia si ripete sempre uguale.

Allora, dopo un po’ quelli dei locali ricominciano a guardarti seccati e sbuffano allo stesso tempo, e ciao ciao Amyl, ripresentati quando avrai qualcosa di nuovo da proporre.

Niente concerti, niente birra; le scorte si assottigliano sempre più, fino ad azzerarsi; tocca andare al negozio sotto casa, che però non ci tiene a farti esibire per le massaie, e se vuoi la birra te la paghi.

Così Amyl si rimette a scrivere.

A febbraio 2017 ecco sei brani nuovi.

Si torna a fare concerti, si suona per una quarantina di minuti, e soprattutto si ricomincia ad accumulare scorte per i periodi di magra.

Quei sei brani tutti insieme sono «Big Attraction».

E se «Giddy Up» è punk rock di ottima fattura, cui si aggiunge l’effetto sorpresa - e questi da dove sbucano fuori - «Big Attraction» è addirittura clamoroso; e probabilmente ad Amyl e compagni non gliene frega niente, ma scrivono canzoni da urlo; e neppure la produzione più accurata, nel senso che «Big Attraction» suona meglio di «Giddy Up», intacca il devastante impatto di queste canzoni.

Siamo sempre là, punk rock come si suonava in Australia negli anni Settanta, però tenendo bene a mente che da quelle parti non c’erano solo Radio Birdman e Saints, ma nel plotone s’erano bellamente infiltrati pure tamarri del calibro di AC/DC e Rose Tattoo.

E poi uno dice perché il rock australiano del decennio 1976/1986 sia stato tra le massime espressioni del rock’n’roll tutto.

In questi solchi profondissimi si muovono anche Amyl e gli Sniffers: «I’m Not a Loser», «Blowjobs», «Mole (Sniff Sniff)» e «Westgate» magari non c’entrano del tutto con Birdmen e Saints, ma gruppi di culto come Babeez e Fun Things, Victims e Chosen Few qui sono di casa e la loro lezione Amyl l’ha mandata a memoria in tanti pomeriggi spesi ad ascoltare qualche nugget dedicata a quei rumorosi anni di down-under rock.

Poi ci sono «70’s Street Munchies» e «Balaclava Lover Boogie», e si va ancora più indietro nel tempo, un terzo di Stooges, un terzo di Damned, un terzo di AC/DC (quelli con Bon Scott in formazione, ovvio), due brani strepitosi: il primo, pure da vedere, giusto per chiudere il discorso su quanto gliene possa fregare ad Amyl di fare soldi colle sue canzoni e sulle reali motivazioni del suo “fare musica”; il secondo, per ora solo da ascoltare ad ogni costo, perché un pezzo talmente devastante non lo sentivo sarà da vent’anni.

Con la speranza che la birra duri fino alla fine dei loro giorni e che un album non siano mai costretti a farlo.

Perché Amyl e gli Sniffers me li vedo come certe bande punk statunitensi che fecero al massimo un paio di singoli e poi dopo vent’anni qualcuno si accorge di loro, ritrova tante cose rimaste nei cassetti e tira fuori una di quelle antologie di culto da perderci la testa.

Solo che Amyl e gli Sniffers sono qui ed ora, forse la cosa più bella capitata alla musica punk nel nuovo secolo.

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