Una cassetta messa fuori ad inizio 2016 in pochi esemplari – giusto per parenti ed amici più che stretti, per intendersi – e ben presto andata esaurita; anche perché oggettivamente ci vuol poco a mandare esaurite una decina di copie, soprattutto se lasci agli altri la decisione se darti qualcosa in cambio oppure niente.

In quella cassetta, quattro brani per un minutaggio complessivo di nemmeno sette minuti.

Suona strano ma questo è il mio personalissimo disco dell’anno.

Loro sono Amyl And The Sniffers, da Melbourne, e pare che in Australia siano tornati i bei tempi in cui volavano gli uomini-uccello e il down-under rock era la nuova grande cosa.

Sono in quattro, tre maschietti ed una femminuccia: la femminuccia va alla voce, i tre maschietti si piazzano a chitarra, basso e batteria.

A combinare qualcosa di serio non ci pensano nemmeno e l’unico scopo prefissato all’inizio è quello di imbucarsi alle feste casalinghe degli amici con la scusa di riscaldare l’ambiente suonando roba di Hard Ons, Cosmic Psychos ed altra tamarraggine elevata all’ennesima potenza, ma soprattutto affogare in fiumi di birra a gratis.

Gli amici sono entusiasti e gli montano talmente la testa che quei quattro il gruppo lo mettono su per davvero: Amyl And The Sniffers, Amelia e gli sniffatori, appunto.

È gennaio 2016.

Ad occhio e croce, suonano un greve e scalcinato punk rock.

Provare non serve più di tanto, basta ed avanza il festaiolo rodaggio a casa degli amici.

Però sarebbe bello suonare qualcosa di più che pezzi di altri.

Detto fatto, in un paio di settimane ci sono quattro brani nuovi di zecca, quelli che messi tutti insieme non arrivano ai fatidici sette minuti.

Niente studio di registrazione, niente casa discografica, fai-da-te a più non posso.

La ragazza ed i ragazzi si rintanano in cantina per un paio di giorni, portando con sé gli strumenti del mestiere ed un doppia-piastra messo a disposizione da uno degli entusiasti amici di cui sopra.

Quando ne escono, nessuno ci fa caso ma la ragazza nasconde nella tasca degli short la preziosa cassetta.

Ora bisogna farne qualche copia, non tante, giusto quelle per moroso e morose e amiconi e amicone; e quelle che avanzano le si lascia nei locali dove si suona, ché magari qualcuno richiama.

Mica le vendono: chi vuole supporta la banda, chi non vuole si porta a casa la cassettina a gratis, come la birra che scorreva durante le festicciole.

Due pomeriggi, sette ore ma nemmeno, e tutte le cassette si sono volatilizzate.

La ragazza ed i ragazzi hanno nelle tasche un gruzzoletto di poco meno che 300 dollari australiani, suppergiù 200 euri; non è tanto, ma è ben oltre le loro più rosee aspettative.

Una parte vengono investiti per girare un video, molto artigianale a dire il vero: telecamerina a mano, primo piano fisso sulla ragazza che girovaga tra gli scaffali di un supermercato, ad un certo punto incrocia due dei ragazzi e si sofferma con loro per una decina di secondi, prima di ricominciare a girovagare; lei prova a muovere le labbra a tempo colla canzone ma le viene da ridere ed allora lascia perdere, si limita a girovagare lungo i corridoi del supermercato accennando qualche mossetta e balletto a loro modo sensuali, ed è carinissima; salvo che poi alla fine si ritrova fuori, con un gelato spiaccicato sulla guancia sinistra.

Come prima, fai-da-te a manetta.

Solo che la canzone del video, «Caltex Cowgirl», è davvero bella: una ballatona a bassissima fedeltà, semplice semplice, che mi si è infilata in testa al primo ascolto e non ne è più uscita, con tanto di assolo chitarristico finale in odore di acido lisergico. Piazzato là a dimostrare bellamente che suoneranno punk greve e scalcinato, ma volendo pure altro.

Quel video fa prima il giro del quartiere, poi di Melbourne, poi finisce su You Tube e se lo vedono in qualche migliaio, decisamente più di quanti misero le grinfie sulla cassetta un paio di mesi prima, chi supportando la banda, chi a gratis.

Da lì a Bandcamp il passo è immediato.

Sempre quei quattro brani.

Oltre a «Caltex Cowgirl», «Pleasure Forever», «Mandalay» e «Stole My Push Bike»: queste sì, sono tre puntute schegge di punk greve e scalcinato per davvero, o forse più proto-punk che punk e basta, ma alla fine son questioni di lana caprina che lasciano il tempo che trovano. Contano solo abrasione e grezzitudine à go-go e che «Mandalay» è un pezzo straordinario, con la ragazza che il testo lo declama quasi roca più che cantarlo, e dimostra una presenza carismatica non indifferente.

Rimettono in circolo pure la cassetta: questa volta fanno le cose in grande, gli danno un titolo, «Giddy Up»; ci schiaffano pure una copertina con la ragazza a letto in canotta e mutandine bianche, ma la musica eccita di più ed è tutto dire. Ce n’erano cinquanta copie, tutte esaurite.

Il principio è sempre quello, se vuoi supportare la banda fai tu il prezzo, altrimenti i brani te li puoi scaricare a gratis da You Tube, non c’è problema.

Mi sa che un un bel po’ di gente ha scelto di supportare Amyl And The Sniffers.

Mi sa, perché hanno fatto altri due pezzi – notevoli – e pure due video, quello di «70’s Street Munchies» tutto da vedere per farsi un’idea di come dovrebbe essere andare ad un loro concerto.

Se e quando arriveranno a fare un lp, spaccheranno tutto.

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