An Pierlé, di Anversa, cerca di contrastare le linee nette della propria terra sin dalla posa: nei suoi concerti è nota per suonare il pianoforte seduta su una palla. La sua voce sinuosa, accompagnata dagli arrangiamenti parsimoniosi e gentili degli White Velvet, lotta con i pinnacoli delle città, con i ciottoli taglienti delle strade, con i profili quadrettati delle case, con i mattoni precisi delle facciate e il taglio dei legni, con le gocce lunghe e sottili delle piogge.

Il suo secondo disco, del 2002, è un dolcissimo viaggio in una Fiandra rovesciata. Le influenze di Beth Gibbons e dei Portishead, di Bjork e di Tori Amos, segnano le sonorità notturne e sfocate: domina il pianoforte, cui fanno da spalla soprattutto l'organo e una chitarra mai invasiva, una batteria leggera e un basso discreto. Il resto lo fa tutto la voce magica della Pierlé e le melodie carezzevoli che traccia.

L'inizio è un piccolo capolavoro ("Sorry"), con la Pierlé che interpreta un Cave al femminile, tra il tragico e il nostalgico: il pezzo scivola come su un canale, riflette le linee rette del paesaggio annacquandole in un impasto che le sforma e le ingentilisce, soprattutto a metà brano, quando il pianoforte sembra emergere e inabissarsi in continuazione, per poi sparire e rispuntare all'improvviso contornato da cori portisheadiani da brividi. In "As Sudden Tears Fall" è delizioso l'attacco, con l'organetto e la batteria spazzolante che accompagnano voce e chitarra: dopo il ritornello il pezzo si ubriaca, e ancora sono cerchi e curve a stravolgere l'andamento dei suoni, deviandoli in visioni rovesciate, a spirale, quasi giocose.

La Pierlé ha il pregio di riuscire ad essere delicata e leggiadra senza essere stucchevole. Le armonie, dovendo contrapporre un tratto ondulato a segmenti severi, non sono mai zuccherose, ma semmai malinconiche (come nella pur appassionata "Kiss Me"). Non mancano, poi, momenti più mossi, in cui la voce della Pierlé si arrampica su strumentazioni più ardite e graffianti ("Sister", "Sing Song Sally"), con risultati eccellenti quando le due tendenze si incontrano e le linee si intersecano: un esempio è "Helium Sunset", quasi orientaleggiante nella sua struttura più pungente e nella batteria più tortuosa. E rimane spazio, in questa collezione di geometrie stranamente armoniche, per momenti più nettamente ispirati dal suono scuro dei Portishead: si senta "Medusa", con la batteria incupita e l'organo incavato, o "Leave Me There", in cui il tessuto dell'organo fa da tappeto a una serie di suoni scollati e quasi incongrui, con la voce stessa della Pierlé che si fa più dissociata (qui davvero la Gibbons docet), salvo poi farsi raggiungere da una voce maschile e da un fraseggio di chitarra che la ristabiliscono magicamente. Grande pezzo, con il conclusivo e più scuro "Walk", pilotato da una sinistra fisarmonica.

Qui le giornate sono fatte di nuvole pesanti eppure veloci, che ti vedi correre sopra la testa impazzite o che si riflettono su canali zitti come animali in allerta; sono fatte di luci che si aprono improvvise alla fine del giorno sbattendo sulle case già addormentate; sono fatte di acqua e di pietra. L'andamento falcato e ritorto di questa musica, allora, in realtà, apre uno spazio in una dimensione nascosta e marginale di questi paesaggi, allargando e approfondendo la dolcezza severa e il romanticismo quasi distratto ma lauto che dietro la durezza, qui, si cela.

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