Abili tessitori di delicate emozioni, gli inglesi Anathema sanno sempre come sciogliere anche il più duro dei cuori, e questo "Judgement" (1999) non solo è la prova di quanto detto, ma è anche (e soprattutto) l'episodio che rappresenta il lato più profondo e toccante del gruppo sotto qualsiasi aspetto: i testi intimi e l’affascinante, nonchè emblematica copertina rispecchiano fedelmente l’emotività totalizzante di tredici brani all'insegna di un mesto rock atmosferico, molto semplici ed omogenei ma lungi dall’essere stancanti.

Semplicità ed efficacia fanno quindi di “Judgement” un lavoro tondo, leggero e complessivamente accessibile, mentre il compito di ammaliare l’ascoltatore è affidato a quella sognante e pacata malinconia che aleggia in tutta la durata non trascurabile dell’album, senza però risultare troppo invadente od ostentata. Basterebbe ascoltare la prima traccia, “Deep”, per farsi un’idea: suggestivi inserti acustici, curioso feeling psichedelico, atmosfera rarefatta e amara introspezione si intrecciano in un’intrigante alchimia di colori, sensazioni e ricordi.

Tale formula viene gestita abilmente brano dopo brano attraverso un songwriting di indubbia classe, ma d’altronde gli Anathema ci hanno abituati a questi standard. La rassegnata e strascicata “Pitiless”, il pianoforte plumbeo e dilatato di “Parisienne Moonlight” e le progressive ed incalzanti accelerate della struggente title track sono ottimi esempi di una creatività fuori dal comune. Decisamente riuscite sono l'allucinata “Don’t Look Too Far”, sfoggio di un wah wah elastico e di rilassanti vocalizzi da parte del sempre impeccabile Vincent Cavanagh, ed “Emotional Winter” nel suo incedere onirico ed etereo, quasi ipnotico. Ma il vero momento clue del disco si trova nell’indimenticabile “One Last Goodbye, dedicata alla defunta madre dei tre fratelli Cavanagh: brividi a non finire, pura commozione, pathos impetuoso. Indescrivibile.

Il resto dell’album non è da meno; tra plettrate possenti e caliginose, scivolando su ampie pennellate di synth ed esplorando ogni sfumatura di “Judgement” si resterà letteralmente magnetizzati da quello che, a primo impatto, definirei vagamente come un languore cosmico e straniante, espressione di sicuro non sconosciuta ai canoni dei nuovi Anathema, ormai lontani anni luce dalle radici doom/death metal. Ecco cosa si trova in questo cd: una band innanzitutto matura, sicura di sé ma sciolta da qualsiasi ambizione, capace di plasmare una sua dimensione personale, inimitabile ed inconfondibile nella scena odierna del rock.

Album consigliato a tutti.
Voto: 4,5

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