Tutto questo accadde prima, molto prima che gli Anathema divenissero quel meraviglioso cigno variopinto e pinkfloydiano che ora sono (per chi apprezza il nuovo corso, ovviamente).
Tutto questo accadde nell'ormai lontano 1992 e fu un lampo, fu un'illuminazione, fu un colpo di fulmine.
"Crestfallen" è la prima testimonianza discografica, la prima impronta che il combo di Liverpool, composto all'epoca dai fratelli Vincent e Daniel Canavagh (chitarra e chitarra/voce), dal bassista Duncan Patterson, dal drummer John Douglas e dal cantante Darren White, lascia nelle coscienze di tutti coloro cha hanno amato e amano quella capacità musicale che hanno i nostri di essere semplicemente melodrammatici e romantici, funerei e gotici al punto giusto, indipendentemente dal periodo compositivo in cui si trovano.
Bene, con questo Ep edito dalla storica Peaceville Rec., gli Anathema si affacciano nel mondo metal proponendo un doom/death un po' sulla falsariga dei primissimi Cathedral, quindi dai ritmi molto molto cadenzati, voce assia growl ma, nel contempo, esprimendo un tocco tutto loro nel comporre e nel concepire il genere, un sapore prettamente vittoriano, quasi da quartetto classico da camera, col quale riescono a fare a meno di orchestrazioni sinfoniche tipiche per esempio dei contemporanei My dying Bride o Paradise Lost (quelli di "Gothic", non dell'omonimo debut).
Da notare una caratteristica peculiare dei nostri, che fin da subito ci consegnano songs dalla notevole durata media, fate conto che il suddetto Ep è composto da 5 brani per un totale ben 35 minuti di musica, che facendo un paragone è circa il tempo di durata di "Reign in Blood" degli Slayer. Questa prolissità non decade mai, a mio avviso, nell'imbolsimento o peggio ancora nella noia, è semplicemente il naturale sviluppo/svolgimento di un susseguirsi di riff ampi e profondi, che lentamente mutano senza spezzare le composizioni, quindi mantenendo vivo l'interesse dell'ascoltatore. L'unica cosa che forse può alla lunga un po' stancare è il latrare del buon Darren White che è effettivamente monocorde quando si affida solo al growl, mentre esprime una buona dose di marcia passionalità quando passa all'uso delle clean vocals.
Altra particolarità, l'usanza, fin dal debutto, di inserire una folk ballad, cantata da una soave ed angelica voce femminile: la song in questione è la breve(!!!!!), delicata "Everwake".
Per il resto ci troviamo di fronte ad una lavoro da bere tutto d'un fiato, dall'iniziale e spettacolare "..And I Last" sino alla drammatica e conclusiva "They die" passando per la title track, lunga suite di 10 minuti, introdotta da un pianoforte che lascia intravedere, nel modo in cui è suonato, quelli che sarebbero poi stati gli sviluppi futuri delle composizioni (diciamo che un po' prelude ad "Eternity").
Per ciò che concerne il lato puramente tecnico, la registrazione non è male, diciamo che tutto è perfettamente udibile ed equilibrato, mentre la timbrica dei suoni è primordiale, alquanto grezza, ma forse questo può aumentare il fascino del lavoro stesso, in quanto ben si addice alle atmosfere decadenti e malsane create dai nostri.
Assolutamente da avere.
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