Gran parte di “Distant Satellites” era troppo dipendente dai precedenti due album ma le quattro tracce finali erano proiettate al futuro e dicevo che da lì bisognava ripartire… Non è esattamente ciò che hanno fatto con quest’ultimo lavoro ma il passo avanti l’hanno fatto comunque. Il timore che gli Anathema avessero esaurito le idee o che avessero ormai trovato la strada definitiva che arrivato ad un certo punto della carriera scegli e non cambi più era concreto ma per fortuna siamo stati abbastanza smentiti.

“The Optimist” non è una sterile copia dei precedenti album come si temeva. Dopo il sound più luminoso (ma probabilmente solo in apparenza) delle produzioni più recenti qui gli Anathema si riaffacciano su toni più oscuri ma senza scimmiottare il loro periodo gothic di fine anni ’90, adattando il tutto a quelli che sono gli Anathema più attuali. Il risultato finale è qualcosa che si pone esattamente a metà strada fra gli Anathema di fine anni ’90 e quelli delle produzioni più recenti, ma anche con uno sguardo verso il futuro. Viene meno anche quella sensibilità quasi pop che ha caratterizzato le ultime produzioni e si nota anche un’inflessione post-rock più marcata che mai, così come gli innesti elettronici, che forse potevano essere approfonditi. Tengono duro gli arrangiamenti orchestrali. Il risultato è un disco estremamente notturno e rilassato, oltre che fortemente malinconico.

Come dicevo mi aspettavo che la band approfondisse quanto fatto nella parte finale del precedente album, sarebbe stato il modo giusto e più naturale di proseguire l’evoluzione della band; questo invece viene limitato a sole due tracce, fra le migliori del disco: “Leaving It Behind”, dove loop elettronici sottili dal sapore vagamente alternative molto simili ai Radiohead più sperimentali accompagnano le spigolose chitarre, e “San Francisco”, una strumentale ipnotica e notturna con un crescendo elettronico incredibile.

E come dicevo l’influenza del post-rock è più marcata che nei precedenti album (dove già faceva capolino), la maggior parte dei brani sono caratterizzati da notevoli crescendi di chitarre che partono da melodie sottili; ma c’è un brano che addirittura può considerarsi 100% appartenente al genere e questi è senz’altro “Springfield”, con quell’incredibile tremolo di chitarra nella seconda metà.

Altro brano che mi ha sorpreso molto è “Close Your Eyes” con il suo incedere lento e la sua marcata impronta jazzistica, con tanto di contrabbasso e trombone. La conclusiva “Back to the Start” è invece il brano in cui la natura notturna e malinconica dell’album si compie meglio, anche grazie a soavi linee vocali; sembra quasi un perfetto punto d’incontro fra vecchi e recenti Anathema, sembra una sorta di “2000 & Gone” attualizzata. Perfetto punto d’incontro anche la centrale “Ghosts”.

“Endless Ways” e la title-track invece sono più vicine al sound più luminoso dei precedenti album ma svolgono correttamente la loro funzione all’interno del disco. “Can’t Let Go” è invece il brano più immediato, ma anche lui fa la sua parte. “Wildfires” può sembrare anch’esso il cosiddetto “brano minore” ma fossi in chiunque me ne guarderei bene dal considerarlo tale, anzi… sfido chiunque a realizzare un brano praticamente costruito su un unico accordo ripetuto, con poche variazioni, riuscendo a farlo risultare tremendamente azzeccato e sofferto, con quel suo piano maldestro e teso…

A quanto pare l’album sta facendo storcere un po’ di nasi qua e là in giro, la prova più evidente ne è senz’altro la provvisoria media del 3.26 ottenuta su progarchives, ma anche qualche commento sentito in giro dove qualcuno parlava di album un tantino “stanco”. Personalmente non credo ci sia da lamentarsi, l’emozionalità e tutte le altre caratteristiche che rendono apprezzati gli Anathema qui non mancano affatto. Forse c’è soltanto un po’ di alleggerimento nelle melodie ma quello è un discorso ormai vecchio cominciato già con “We’Re Here Because We’Re Here”. Tuttavia la sensazione che si potesse osare un po’ di più la percepisco anch’io. Intanto si è beccato il premio di album dell’anno ai Progressive Music Awards (sempre che la band possa considerarsi parte di questo strano genere/non genere, ma è un dibattito a parte, talvolta senza un vero e proprio fondamento), direi che va bene così.

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