From Compton to Malibu.
Che il 2016 sarebbe stato l’anno di Anderson .Paak era facilmente intuibile da tutto l’hype generatosi attorno a lui già nella seconda metà del 2015, nonché dalla lunga lista di collaborazioni a cui l’infaticabile trentenne californiano si è prestato.
Ma è una in particolare la partecipazione che ne ha fatto salire esponenzialmente le quotazioni. Ad inizio del 2015 Dr. Dre, dopo averlo ascoltato su produzioni Knxwledge, lo chiama per contribuire a 6 brani (più di ogni altro guest) di “Compton”, colonna sonora del biopic “Straight Outta Compton” e ritorno discografico del produttore ex-NWA; Paak risponde al meglio attirando su di sé numerosi consensi.
Fino ad allora AP aveva pubblicato diversi lavori, tra album ed EP, in maniera totalmente indipendente, ma senza ricevere grandi attenzioni di critica e pubblico. Al contrario a partire da “Compton” inanella una numero impressionante di featuring, prestando (principalmente) la sua abilità in fatto di ritornelli a Premier, The Game, Madlib, GoldLink, Tokimonsta, Domo G, Kaytranada, Snakehips, Schoolboy Q. Non è un caso se molti di questi sono poi diventati singoli.
E se a quelli elencati si aggiungono coloro che hanno partecipato a “Malibu”, si capisce come negli ultimi mesi Anderson .Paak sia divenuto al tempo stesso catalizzatore di vibrazioni positive e re Mida quasi incontrastato della black music contemporanea e non solo.
Paak canta, rappa, suona la batteria, produce, racconta di donne, esperienze familiari al limite, nightlife, California. Cimentandosi in più “campi” si dimostra diverso dal classico cantante soul, che si limita a stare dietro ad un microfono. Il resto lo delega a gente di un certo calibro, molto spesso attiva in ambito mainstream, come: Pino Palladino (già all’opera con D’Angelo) che presta il suo basso nella rilassata “Water Fall”, Sam Barsh (presente in “TPAB” di Kendrick Lamar) alle tastiere nella spigliata “Heart Don't Stand a Chance”, Robert Glasper sempre nel simil-gospel pop-oriented “Celebrate” e poi un mucchio di altri bravi ragazzi tra cui Talib Kweli e 9th Wonder.
Sedici tracce ricche di soul, cariche di funk, dall’approccio semplice e dal suono curato, che scorrono a meraviglia una dopo l’altra.
È la rivalsa del fka Breezy Lovejoy che da homeless si ritrova autore di uno dei migliori album usciti in questo 2016, ma destinato a rimanere anche negli anni a venire.
“Keep dreaming/don’t stop now”
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