Il Testamento è il primo album solista di Andrea Appino, voce degli Zen Circus, che per l'occasione si fa accompagnare da Giulio Favero e Franz Valente del Teatro degli orrori. È il primo disco della carriera in solitario di Appino, ma ascoltandolo si ha come l'impressione che sarebbe più adatto come opera finale della carriera di un artista. Il tema centrale dell'album è fare un resoconto della propria vita, della carriera, di quanto si è fatto nel bene e nel male, insomma, un vero e proprio Testamento.
L'ossatura portante del disco è costituita da tre brani che affrontano direttamente l’argomento: la title track "Il Testamento", la splendida ballad "La festa della liberazione" – senza dubbio il brano migliore dell'album – e "Passaporto".
Il tema viene trattato anche in modo indiretto, il disco è, infatti, una sintesi di quanto Appino ha fatto nel corso della sua carriera musicale e di quanto avrebbe potuto fare. Troviamo infatti brani tipici del suo stile come la filastrocca dark "Che il lupo cattivo vegli su di te" e la ninna nanna tetra "I giorni della merla", che con la loro cadenza popolare ricordano l'Andrea del gruppo di origine. Ma ci sono anche brani che esaltano il lato più rock di Appino, in questo caso messo ancora più in risalto dal grande lavoro strumentale del duo del Teatro. Stiamo parlando dei pezzi più duri del disco, a volte riusciti, come nel caso dell'hard rock di "Lo specchio dell'anima" altre volte no, come in "Solo gli stronzi muoiono", ed a volte più sperimentali, come nel Core-Punk di "Schizofrenia" – un brano che di sicuro dividerà la critica.
Nel disco trovano spazio anche pezzi più radio friendly, dove il nostro artista strizza l'occhio a ritmiche più commerciali che non avrebbero sfigurato in un disco di Vasco Rossi o di Ligabue. Anche in questo caso a volte il tentativo è piacevole ("Tre ponti", "Fuoco"), mentre altre si rivela un deludente insuccesso ("Questione d'orario", "Fiume padre").
Chiude il disco, la bella "1983", con il suo finale in stile dance anni '80, che farà storcere il naso ai puristi indy-rock, ma che mette in luce un ulteriore lato dell'artista, senza sminuirne la qualità.
Il disco è insomma riuscito per metà: da una parte la capacità di Andrea di scrivere i testi, la bravura di Franz e Ragno con gli strumenti e l'ottima qualità della produzione permettono al disco di guadagnare consensi, dall'altra l’insuccesso di alcuni brani e le altissime aspettative – visti i nomi coinvolti – fanno perdere mordente al disco e gli precludono la possibilità di trasformarsi in un vero e proprio capolavoro.
La speranza è che questo non sia davvero un testamento, ma solo una parentesi nella lunga carriera di un grande cantautore, che da solo, o con gli amati Zen, ci continui a regalare splendide canzoni.
Carico i commenti... con calma