Recensire un disco italiano equivale, nella maggior parte dei casi, ad analizzare criticamente l'espansione astrale di un blob tumorico sotto forma di urletti odiosi, finti artisti, vecchi roiti, pseudo poeti, meticciato ingratamente erede della vera canzone italiana delle grandi scuole degli anni 60 e 70, involuzione compositiva e creativa, anacronismo persino contenutistico e tanta, tantissima fanghiglia molle di prodotti studiati a tavolino dei penosi talent show. Escludendo alcune rocce in grado di farsi valere dignitosamente e scarsi esempi di afflati underground, il panorama musicale italiano è un Titanic che affonda senza saperlo, una combriccola di orripilanti canzonieri della qualità più infima possibile capaci ancora di elevare le loro misere produzioni a capolavori senza tempo. E se il capostipite nonché sovrano imperituro assoluto di siffatta monnezza rimane il Blasco con i suoi spartitelli e poemi adatti per adolescenti con gravi problemi di dislessia, l'aumento proporzionale del marasma melodico belpaesano è stato arricchito con gli insipidi fuoriusciti di Amici e compagnia bella (talmente anonimi che risulta persino problematico distinguerne i nomi e i volti, figurarsi le canzoni) e con la nuova stagione degli pseudorappers talmente boriosi e superbi da insultare e denigrare senza dignità colleghi internazionali che potrebbero spazzare via con un solo bemolle l'intero (non) patrimonio musicale italiano attuale.

La scelta di recensire la proposta di Andrea Nardinocchi non è assolutamente portatrice del solito discorso filosofico "anche nel letame può crescere un fiore" volto a giustificare e persino a difendere in maniera campanilista le tendenze tricolori in fatto di discografia: l'esordiente giovincello è forse uno dei pochi italiani a guardare all'estero e non a sud delle Alpi, a percepire effettivamente i molteplici influssi anglo-americani - e non solo - e a "variare" la propria produzione distaccandola dalla lasciva moda del finto cantautorato d'autore. Ho notato per la prima volta mr Nardinocchi nel videoclip di debutto per Un posto per me, brano che, escludendo il cortometraggio (una sorta di remake de Le Vibrazioni per i navigli milanesi) e il testo un po' forzato, mi ha colpito per il suo approccio R&B-elettronico, un connubio di generi pressoché assenti dalle charts nazionali, e per un interessante utilizzo del falsetto vocale metà Marco Mengoni e metà Justin Timberlake, quest'ultimo artefice del miglior album pop del 2013 attuale, The 20/20 Experience. Il primo album di Andrea, Il Momento Perfetto, è stata una scelta di ascolto decisamente inusuale per i miei standard e i miei gusti eppure ha rappresentato una piccola sorpresina: Nardinocchi può difatti ambire ad essere un buon ponte levatoio fra il pop internazionale, con tutte le sue contaminazioni e i millemila approcci, e la classica bonarietà pseudopoetica seppur a volte accettabile dei vari Tiziano Ferro (anche quest'ultimo un esempio di artista tricolore che punta il binocolo al di là del Monte Bianco). Il Momento Perfetto è infatti un lavoro in bilico fra questi due mondi, un cavalcavia a volte dissestato (sentasi, ad esempio, la partecipazione del penoso Marracash e una blocco di testi un po' "stupidelli") tuttavia in grado di rinnovare adeguatamente l'italianità su pentagramma aggiornandola con le nuove tendenze internazionali, in primis con l'ultimo matrimonio soul-elettronico-urban forse un po' troppo scopiazzato negli States eppure piacevole da assaporare in un paese che offre nella sua maggiore kermesse, ovvero Sanremo, il peggio del peggio dell'anacronismo sonoro (e culturale in generale).

Il disco è, come già detto, dominato da atmosfere soul inscritte e circoscritte in un unicuum synth-elettronico con consistenti porzioni dubstep e R&B. Ciò si nota, oltre al primo estratto Un posto per me, in Le labbra screpolate, buon esempio di sposalizio urban-techno sebbene coronato da un testo "bizzarro", nel corposo dubstep di Storia Impossibile e Non Mi Lascio Stare, nelle influenze grime-industrial di Come Stai. Interessanti anche l'approccio proto-alternative di Bisogno di te e il synth-trance funky da cabaret con aggiunta di auto-tune per Con uno sguardo. Pollice verso invece per Tu sei pazzo, un responso negativo dato anche dal featuring di Marracash.

Non un capolavoro, non una pietra miliare della discografia e neanche un esordio stratosferico e strabiliante, l'ingresso di Nardinocchi nel music biz italiano (e forse anche internazionale) con Il Momento Perfetto dimostra che le Alpi non sono così difficili da superare e che i positivi (ma anche negativi) influssi globali del suono e della creatività possono radicarsi persino nei feudo dei vari Vasco, Ligabue, Pausini e Ramazzotti. Ora occorrerà verificare la portata di questi afflati, se siano brezze o cicloni, e confidare in un'ancora poco probabile transizione della musica italiana dall'Ancien Regime dei signorotti attuali ad un'epoca moderna fatta di varietà, novità e ricchezza. E soprattutto di artisti decenti e competitivi.

Andrea Nardinocchi, Il Momento Perfetto

Il momento perfetto - Un posto per me - Storia impossibile - Persi insieme - Le labbra screpolate - Tu sei pazzo - Le pareti - Non mi lascio stare - Bisogno di te - Con uno sguardo - Amare qualcuno - Come stai

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