Ho conosciuto tardi l’opera di Andrea Pazienza – Paz – in occasione della ristampa nel 2006 delle sue grafic novels più importanti.

Deve essere stato bello vivere a Bologna alla fine degli anni ’70, luogo d’incontro di intellettuali e grandi artisti come Paz, frequentare il DAMS, che lo ebbe tra i suoi allievi e magari poterlo sfiorare tra la folla gioiosa che popolava Piazza Maggiore soprattutto di sera.

Pochi fumetti lasciano il segno come Gli ultimi giorni di Pompeo, l’effetto è quello di un vero e proprio pugno nello stomaco. E’ molto evidente il richiamo al fumetto underground statunitense, nella fattispecie quello di Robert Crumb, nel cui tratto ritroviamo a volte la stessa durezza.

Ma in realtà il primo artista a cui ho pensato è stato Caravaggio. La drammaticità del segno ed i forti contrasti di luci ed ombre mi hanno ricordato il pittore maledetto.

E maledetta è la storia, quella delle 27 ore che separano Pompeo dalla sua morte, raccontate senza eufemismi, anzi in uno slang assolutamente unico, pazienziano nel senso che è una creazione dell’Autore stesso che, non stupisce, ha lavorato anche per delle campagne pubblicitarie. Neologismi, frasi dialettali: Paz è geniale nel linguaggio allo stesso modo che nel disegno.

Fin dalla prima tavola che precede l’inizio del fumetto avvertiamo tutto il sarcasmo di Paz verso i venditori di parole travestiti da pseudo intellettuali e già possiamo farci un’idea di quello che sarà il linguaggio di Pazienza, unico nel suo genere, capace di toccare picchi poetici e rasentare l’idioma più volgare.

Paragonabili ai dolori del giovane Werther Pazienza narra le vicissitudini di Pompeo, insegnante di disegno a Bologna nel corso, dicevamo, delle 27 ore che lo separano da un tentativo di suicidio mediante un’overdose di eroina. Il fumetto si apre con la descrizione della messa in atto dell’insano gesto e con il dolente commento del protagonista: “Cercò la paura ma non la trovò”, a mio parere una delle perle del testo di Pompeo. Come vedremo molte pagine più avanti sarà la vecchina (il termine è di Paz) delle pulizie a salvarlo costringendolo a cercare la morte in altro modo: “Inorridito suo malgrado e da ciò che sta per fare e perché lo farà. Lo farà!”

Prima di tentare il suicidio Pompeo trascorre più di una intera giornata alla ricerca spasmodica dell’eroina, nel timore di cadere in astinenza ed ogni occasione è buona per farsi. A questo proposito credo che anziché destinare Pompeo ad un pubblico adulto (come consigliato in basso nella copertina) la lettura di questa grafic novel dovrebbe essere obbligatoria nelle scuole superiori per illustrare agli adolescenti non solo quanto devastante sia l’uso dell’eroina, ma come essa invada tutta la vita di chi ne fa uso, non lasciando spazio a nient’altro che alla sua ricerca. Come a dire: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”.

Che Pompeo sia Pazienza è fuor di dubbio: c’è il ricordo dell’antico grande amore perduto e l’accenno ad un nuovo ordine, quello “della pizza bianca”, riferito alla nuova compagna, il riferimento alla scuola di disegno di Bologna, la fisionomia stessa del protagonista è quella di Paz.

E’ un autoritratto in cui è impossibile trovare uno stile omogeneo, un’unica mano (verrebbe addirittura da pensare sia disegnato a più mani) tale è la poliedricità di Pazienza. Se lo stato d’animo è tranquillo il disegno ed i caratteri stessi delle parole si fanno lineari, se invece prende il sopravvento una situazione drammatica predomina il chiaroscuro.

Nel fumetto c’è spazio per il narcisismo di Paz nelle tavole dedicate alla scuola ma c’è anche il lato opposto, ovvero l’ammissione di essere in balia della gente peggiore con la quale trascorre gran parte del suo tempo, pur di avere la droga, proprio lui che si definisce “un tempo così schizzinoso”.

Eppure più di una volta nel testo Pazienza ammette che tutto torna bello e splendente dopo essersi fatti, addirittura il risorgere dall’astinenza prodotta dall’eroina attraverso la medesima è molto migliore di quanto la società borghese possa offrirti, nella fattispecie sveglia alle otto, cene d’affari, lo studio, lo sfaldarsi stesso del corpo, in una parola l’omologazione. Circondati da falsi sorrisi dobbiamo rispondere con la maschera dell’allegria: ”Palle anche lì, palle peggio di qua.”

Non ha tutti i torti Pompeo-Paz, la sua è stata una generazione incurante del futuro, addirittura infastiditane (“Un futuro…puah mi affatica il solo pensiero…), purtroppo per molti, compreso Andrea, il futuro si è fermato in una siringa, per Pompeo in un salto appeso con le catene dell’auto ad un albero (“Si buttò come fosse stato, all’improvviso, spintonato.)

A nulla valse la partenza da Bologna di Pazienza, voluta dagli amici al fine di allontanarlo dalla droga. Il richiamo della Madre (“L’altra madre” come l’ha definita Enrico Ruggeri in una canzone scritta per Fiorella Mannoia) fu più forte e alla fine fatale.

E Pompeo è di certo il testamento di Pazienza, nonostante la postilla finale che lo lascia immaginare sereno, “non più depresso”. In campagna, dove trascorre i suoi giorni, i ragazzi lo chiamano “vecchio Paz” ed ha solo 29 anni: tragica premonizione di un destino già scritto per un Artista destinato a non veder sfiorire la sua giovinezza.


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