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Dopo aver fatto ciò, voglio sapere, con estrema sincerità, quanti di voi hanno pensato nei primi 3 secondi: "Tamarro!" (o sborone, maranza, macho-man e qualsiasi altro sinonimo disponibile).
Vi dirò, se le condizioni da me sopracitate si fossero eventualmente verificate, altro non potrei che trovarmi in totale accordo con voi, in quanto, a prescindere da ogni tipo di pregiudizio, il soggetto in questione sembrerebbe, perlomeno visivamente parlando, totalmente avulso da un qualsiasi settore musicale "dignitoso" (in questo modo escludo, certamente correndo il grave rischio di sparare a caso nel mucchio, gran parte del genere commerciale più becero, nel quale - e purtroppo questo è un cliché fin troppe volte ripetutosi - spesso la bella presenza conta molto di più dell'effettiva capacità musicale).
Infatti, Andreas Öberg è il ritratto ideale del tipico svedese che vive in montagna, si spacca da solo la legna, va a caccia di renne ad alci, indossa la consueta camicia in flanella a quadretti (possibilmente rossa/blu), costruisce baite e saune nei luoghi più improbabili ... ah, dimenticavo, tromba come un maiale.
Tuttavia, bisogna sorpassare questa mastodontica e ingombrante presenza, e avventurarsi nel lato prettamente musicale di questo ragazzone: non rimarrete delusi.
La leggerezza, il tocco elegante e sinuoso, la flessuosità e la morbidezza che sgorgano da ogni singola nota da lui suonata ben poco si legano con personaggio precedentemente descritto; raramente ho sentito una così abile capacità di attingere da svariate influenze, riuscendo però a rendere il proprio sound personale e intriso di feeling. Proprio per questo, visto che da poco ho imparato ad apprezzare il jazz e i suoi derivati, mi è risultato un poco difficile riuscire a cogliere gli spunti e le idee dei precursori che hanno fatto la storia della chitarra jazz: ciò nonostante, lo stile di Wes Montgomery, specialmente nelle tracce più rilassate, e di Pat Metheny, presente nei pezzi più tirati, è avvertibile e dona all'album un sapore per certi versi retrò, oserei dire senza tempo.
Questa caratteristica è il punto forte e contemporaneamente il punto debole del disco, in quanto, sebbene non possa non essere presa in considerazione la tecnica strabiliante dei musicisti, la ricercatezza compositiva, l'ampio spazio lasciato a ogni strumento, alla fine dell'ascolto si sente in un certo senso una lieve mancanza di originalità e di freschezza, di voglia di strafare, di innovare.
Sembra, ed è una sensazione abbastanza fastidiosa e stridente con quanto detto prima, che tutto questo lavoro altro non sia che mero tecnicismo, fine a se stesso, una sorta di "lezioncina" su come fare be-bop.
Ed è un vero peccato questo, perché, se personalizzate di più, le composizioni sarebbero risultate sicuramente più incisive e d'impatto: se sfruttata meglio, la grande capacità degli artisti in discussione avrebbe potuto ottenere risultati ben maggiori, rispetto a questo rispettabile ma poco personale lavoro.
Ciononostante questo album è veramente piacevole da ascoltare e scorre che è un piacere; da notare, oltre al lavoro "alieno" dell'Oberg alla chitarra, anche la strabiliante bravura degli altri componenti, tra cui mi hanno stupito (e non poco) l'eccezionale tastierista (Marian Petrescu) e il bassista (Jörgen Smeby), posto ben in evidenza nella traccia "In A Sentimental Mood" (tra l'altro, questo pezzo mi sembra uno dei più riusciti del platter).
Altri episodi rilevanti sono "Stompin At The Savoy", opener veramente coi fiocchi (sentite cosa diavolo è in grado di fare Oberg nei primi 4 -!- secondi !) e "Helen".
In conclusione? Ascoltatevi quest'album, che non è nemmeno impossibile da reperire, e pregate che sto ragazzone, in futuro, ci regali qualcosa di veramente "suo": non ve ne pentirete!
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