«Due tizi vengono accompagnati da un uomo che si fa chiamare Stalker non si sa bene dove, poi il tutto diventa qualcosa di metafisico... un film pesantissimo, ma uno di quelli che mi ha molto toccato.»
Così mi fu presentato questo film, quando parlai di Tarkovskij con quello che era il mio insegnante di filosofia e poi mio collaboratore in ambito artistico. Il miglior film del regista russo in questione sarebbe proprio Stalker, secondo lui. Appassionato dalla visione di Solaris, in parte deluso e in parte affascinato dalla incomprensibilità de Lo Specchio, le mie aspettative riguardo questo film erano piuttosto alte ma non troppo: non credevo infatti che sarebbe riuscito a superare Solaris, film che ho molto gradito per la sua fantascienza introspettiva coinvolgente ed il soggetto singolare, principalmente. Mi sarei dovuto ricredere.
Il film inizia con una musica evocativa fatta di una fusione tra musica elettronica ed etnica in qualche modo, che accompagna gli incomprensibili titoli di testa (che, almeno nella mia edizione, rimangono in cirillico illeggibile). Da subito è possibile notare che le immagini sono in "seppiato" e che il ritmo della vicenda è decisamente lento. Questo è notevolmente accentuato dallo stile registico, che in questo caso si presenta particolarmente contrario agli stacchi tra un'inquadratura e l'altra, prediligendo lunghe inquadrature fisse o in lento movimento ad un cambio di telecamera (basti sapere che è stata constatata la presenza di centoquaranta cambi di inquadratura circa in centosessanta minuti di film, e alcune di quelle centoquaranta durano oltre quattro minuti). Potremmo citare anche la generale scarsezza quantitativa di primi piani e dettagli. Tutto questo è evidente fin dalla prima scena, che mostra lo Stalker (personaggio particolare che ha lo scopo di accompagnare illegalmente la gente comune in un luogo proibito chiamato "Zona", in cui secondo alcuni le persone potrebbero realizzare i propri desideri più intimi una volta trovata la fantomatica "Stanza" e superato quindi le insidie della Zona) a letto con moglie e figlia mentre il passaggio di un treno fa vibrare un tavolino nelle vicinanze. Quando poi lo Stalker se ne va di casa per incontrarsi con i prossimi "clienti", ha luogo un'ulteriore scena con l'inquadratura che rimane fissa per diversi minuti, facendo eccezione per uno zoom a velocità quasi impercettibile che porta il campo dall'essere largo all'essere focalizzato sul tavolino in cui lo Stalker e i suoi due nuovi compagni stanno discutendo. I due tizi vengono presentati come "Scrittore" e "Professore", il primo ubriaco fin dall'inizio, scettico e ribelle, il secondo più posato, ubbidiente e rispettoso, almeno all'inizio. Segue una scena di azione stealth, in cui i protagonisti devono farsi strada per la città (in rovina e sempre seppiata) senza farsi scoprire dalle forze dell'ordine.
Al momento dell'arrivo nella Zona (preceduto da una lunga sequenza in cui la musica si fonde ai suoni delle rotaie usate dai tre per viaggiare, con un interessante uso di soggettive), al seppiato dominante fino a quel momento si sostituisce una sgargiante inquadratura panoramica di quello che sembra essere un luogo di natura incontaminata, non certo troppo allegro ma quantomeno colorato. Qui iniziano ad essere spiegati alcuni concetti chiave della trama e viene introdotto il personaggio (comunque mai visto) del Porcospino. Inutile dilungarsi in complesse spiegazioni in questa sede. Nella Zona è la natura a dominare, quindi anche la musica si fa da parte e spesso il dominio sonoro viene lasciato ai lunghi silenzi intrisi di suoni naturali tanto cari a Tarkovskij. Fin dalle prime sequenze ambientate in questa surreale locazione, emerge con maggiore chiarezza la personalità dei vari uomini presenti, specialmente attraverso l'atteggiamento che i due civili hanno nei confronti del pacifico, prudente e rispettoso Stalker.
Nella zona non si torna mai indietro per la stessa strada percorsa all'andata, né ci si può dirigere dove si vuole per la via più diretta. Quindi lo Stalker ha il compito di guidare i pur scettici compagni verso la famigerata Stanza in tutta sicurezza. Durante il cammino, tra una visione in seppia e l'altra, i personaggi si interrogano sui propri desideri e su tematiche esistenziali e artistiche. Considerazioni interessanti vengono fatte sulla natura dell'arte e in particolare della musica, nonché un confronto tra scienza e arte portato avanti dal Professore e lo Scrittore. Il rapporto con la natura ha anche un ruolo importante, giacché la Zona esige rispetto e impone regole chiare che vanno seguite, pena conseguenze imprevedibili e spesso letali.
Nella seconda parte del film (come Solaris, anche Stalker è diviso in due parti), dopo qualche ulteriore sessione esplorativa e contemplativa e una pausa metafisica incentrata sulla colonna sonora ed alcuni panorami della Zona, in cui vediamo la civiltà ingoiata dall'onnipotente natura, lo scenario si sposta nel tunnel infernale famoso per essere stato scenario di morte per molti visitatori della Zona. La trama a questo punto inizia a diventare più complessa: se in Solaris (de Lo Specchio non si può parlare di chiarezza) molti interrogativi venivano lasciati aperti fin dall'inizio del film, con Stalker iniziamo a poter avere dei grossi dubbi solo nel momento in cui, dopo aver superato il sopracitato tunnel, il terzetto arriva alle soglie della porta della Stanza. Qui avvengono una serie di fatti che è inutile elencare e che portano la trama a complicarsi al punto che nessuno più vuole entrare nella Stanza per motivi diversi e addirittura il Professore desidera distruggerla con una bomba che ha portato con sé. Lo Stalker lo convince a non farlo anche grazie alla sua preghiera di non privarlo dell'unica cosa che gli è rimasta, dunque nessuno capisce più nulla e dopo un'inquadratura di un pesce che nuota accanto alla bomba e viene avvolto da una sorta di strana melma nera già intravista in precedenza il significato del film si complica ulteriormente. Siamo infatti di nuovo in città, non è chiaro come sia finita la situazione nella Zona, lo Stalker lascia i suoi compagni e torna a casa con sua moglie e sua figlia deluso dal loro comportamento. A questo punto, dopo che egli si addormenta, avviene una cosa un po' spiazzante: la donna inizia a parlare direttamente alla telecamera e quindi si rivolge al fruitore spiegando alcune questioni. Subito dopo la scena si sposta verso la bambina, che recita una poesia, poi si mette a spostare (almeno a quanto sembra) telecineticamente alcuni bicchieri facendone cadere uno dal tavolino, che inizia poi a vibrare come all'inizio del film al passaggio di un treno, accompagnato dall'inno alla gioia di Beethoven. E il film termina
Ebbene, c'è poco da aggiungere. Se siete arrivati fino a questo punto e la cosa non vi ha entusiasmato, probabilmente il film vi annoierà (ma consiglierei di guardarlo lo stesso, perché ovviamente le immagini di Tarkovskij saranno essere molto più affascinanti dei miei superficiali discorsi). In caso contrario correte a guardarlo senza scuse!
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