Ho sempre creduto che la musica non fosse semplicemente svago, ma piuttosto un sentimento, e, come qualsiasi altro sentimento si manifesta in tanti aspetti, ma sempre con le sue due componenti: amore e razionalità. Amore, che nasce spontaneo, e razionalità perchè non va mai persa di vista l'obiettività delle cose.

"Essi risero quando Andrés Segovia si sedette e si accinse a suonare la chitarra. L'audacia dell'uomo, portando uno strumento per il flamenco nei sacri ambienti delle sale di concerto. Questo stupido giovane sta facendo inutili tentativi per cambiare la chitarra – con la sua misteriosa, Dionisiaca natura – in uno strumento degno di Apollo. La chitarra risponde alla appassionata esaltazione del folklore andaluso e non alla precisione, ordine e struttura della musica classica".

Il critico che pronunciò queste parole nel lontanissimo 1910 fu di una tale ignoranza ed inesattezza uniche, anzi oseri dire storiche. Certo non poteva sapere come si sarebbero evoluti i fatti, ma criticò in modo molto aspro l'audacia di quell'uomo, che oggi gode di tutt'altra fama. Era mentalità diffusa ritenere la chitarra utile solo per eseguire canzoni folcloristiche spagnole. Cosa che attualmente ci fa inorridire, data la portata e la completezza che questo strumento possiede, nonchè l'impatto che ha avuto su tutta la musica e gli innumerevoli generi in cui padroneggia.

Il giovane Andrès nato in una famiglia povera, che non vedeva nemmeno di buon occhio il fatto che dedicasse la maggior parte del suo tempo alla musica, intuii le potenzialità dello strumento sin da giovanissimo, e da autodidatta iniziò a studiare le opere di Sòr, Tarrega e Arcas, maturando un amore viscerale per lo strumento, quasi morboso (ma nel senso buono del termine). Alla fine di ogni concerto Segovia soleva dire che era la chitarra ad essere "muy cansada" e non lui stanco, ed inoltre, è molto singolare come Segovia accosti l'immagine della chitarra alla figura della donna:

"La grazia delle sue curve. . . gli ornamenti delicati. . . la linea e la luce del suo gracile corpo penetrarono nel mio cuore profondamente come quelli della donna predestinata dal cielo a diventare la nostra amata compagna".

La poesia di queste parole si accosta magnificamente alla sua opera, di cui alcuni saggi sono contenuti in questo questo doppio volume che raccoglie alcune tra le interpretazioni che Segovia portò nelle sale da concerto: Bach, Albeniz, Fernando Sor, Girolamo Frescobaldi e tanti altri che non hanno bisogno di presentazioni, dimostrando ciò che da sempre era stato l'obiettivo (riuscitissimo) della sua vita, far vedere agli increduli la validità delle 6 corde nel saper interpretare quanto fino ad allora era rimasto territorio indiscusso di violini e pianoforti.

Il CD è di pubblicazione abbastanza recente, le registrazioni chiaramente un po' meno, peccato per la qualità del suono non proprio eccelsa, una cosa comunque ampiamente tollerabile considerati i contenuti e gli strumenti all'epoca disponibili. Le interpretazioni sono chiaramente di stampo classico, senza sfumature folcloristiche spagnole, e, giusto per citarvene alcune, si comincia da Bach con "Siciliana" e "Bourrè", "Minuetto" e "Rondò" di Fernando Sòr, passando dal tremolo di "Scherzino" e dalla "Tarantella" (non napoletana però) e cosi via, di cui la maggior parte riprese dal vivo, quindi, senza trucco e senza inganno. Segovia è una vera e propria icona nel mondo classico, tacere su di lui sarebbe come tenere nascosta la verità ai bambini. Il nostro modo di intendere la chitarra classica oggi lo si deve alla sua opera di "missionario dello strumento", che partendo dal semplice presupposto che fosse possibile continuò la strada intrapresa già da Tarrega. Quest'ultimo però non andò mai oltre il comporre e suonare per una ristretta cerchia di amici, mentre Segovia portò la chitarra in giro nelle sale da concerto usurpando i "sacri ambienti" della musica classica. Non credo di essere azzardato nel dire che Segovia ha fatto nella chitarra classica quello che personaggi del calibro di Jimi Hendrix hanno fatto in altri ambiti musicali: liberare lo strumento dagli stereotipi che la tenevano in gabbia. Ribelle e in grado di arrangiarsi, questa è la figura del chitarrista, che evidentemente non si addice solo al mondo "dannato" della musica rock. L'importante è riuscire a fare quanto più è possibile con il proprio strumento, valorizzandolo ed ottenendo le più svariate sfumature timbriche e compositive, ed ovviamente comunicare emozioni. L'elogio quindi non va fatto allo strumento, ma a chi gli ha dato nuova vita senza avere paura di osare, e se queste cose ve le dice uno come me che ha preferenze (molto spesso) diametralmente opposte, riallaciandomi all'introduzione sul parallelismo di amore e musica, questa recensione non dovrebbe stupirvi.

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