Una storia (aimè) senza confini.

Esiste una capacità dell’arte cinematografica di superare la stessa realtà e di farsi più rappresentativa del reale stesso. Non è cosa comunissima ma a volte può accadere.
Sfrondando ogni abbellimento stilistico o di sceneggiatura, il giovane Andrew Jarecki con questo film, titolato semplicemente “Una Storia Americana”, ha realizzato un documentario-verità strabiliante nell’intento e davvero encomiabile per il risultato: praticamente il 90% del film è realizzato con il materiale originale girato da membri e amici della famiglia Friedman protagonista, suo malgrado, delle vicende narrate qui.

Spezzoni di Super8, scene girate con 16mm dozzinali e altre girate in maniera semi professionale documentando per la prima volta nella storia del cinema, scene di vita reale, quadretti familiari e atti di brutalità di una “normale famiglia americana” il cui padre si macchiò, nel 1984 di uno dei più efferati crimini mai concepiti dalla mente umana: la sevizia e lo stupro di centinaia di bambini innocenti dai 6 agli 11 anni.
Arnold ed Elaine Friedman, con i figli Jesse, David e Seth, verso la metà degli anni Ottanta, furono infatti indagati per molestie e abusi sessuali su molti bambini e su di loro si scatenò una vera e propria tempesta mediatici con un processo interminabile che durò quasi 6 anni (dall’1984 al ‘90) e con costi processuali proibitivi per lo Stato Americano. Le accuse poi si concentrarono sul padre, l’anziano insegnante Arnold Friedman, integerrimo insegnante di informatica e sul figlio Jesse che lo aiutò nelle sevizie durante le terribili ore di lezione.

Il film ricostruisce la storia VERA della famiglia utilizzando, ripeto, spezzoni di filmati familiari, feste di compleanno, gite in montagna e quantaltro (girati proprio dallo stesso Arnold o dai figli) ricostruendo dapprima la normale vita di una comunissima famiglia apparentemente borghese e tradizionale e poi, mano a mano, le scene dell’accusa, l’arresto in diretta, la strenua difesa della moglie e le interviste ai figli, amici e ai padri dei bambini seviziati.
Il film è un continuo indagare negli aspetti psicologici e mentali dell’anziano insegnante che qui si presenta con una maschera impassibile di riservatezza e candore quasi imbarazzanti e che il regista tenta di rappresentare non con opinioni personali o forzature giornalistiche (come fece il suo più famoso collega Michael Moore col film Fahrenheit 9/11) ma con una fredda e asettica  rappresentazione di fatti così come ci viene cronologicamente raccontata dai documenti originali: Interviste, accuse dei figli, contraddizioni imbarazzanti, scene di isteria collettiva, tentativi di dribblare le accuse e anche momenti di ilare irresponsabilità (tipo quella del figlio che fuori dal tribunale, ripreso dal fratello, mima degli atti sessuali esagerandone i movimenti, ignaro per altro di essere spiato dal giudice alla finestra).

Un film spietato nella sua fredda descrizione dei fatti, cruento nella rappresentazione della vita di tutti i giorni (imbarazzante le scenette familiari di festeggiamento della Pasqua Ebraica) e efferato nel portarci mano a mano nella spirale di perversione di un padre famiglia, fino a poco tempo prima, considerato un “padre modello” da tutta la comunità.
Andrew Jarecki con questo documentario ebbe una nomination all’Oscar nel 2004 come Miglior Documentario e vinse il Gran Premio al Sundance Film Festival dello stesso anno e numerosi altri premi.

Film che è un pugno allo stomaco ma che tanto ha da dirci su molti casi di “presunta normalità” presenti anche nelle nostre famiglie, senza scomodare troppo l’America e senza andare troppo lontano coi fatti di cronaca nostrana, vedi i fatti accaduti a Rignano Flaminio nei pressi di Roma o i numerosi casi che quotidianamente vengono passati quasi inosservati dai vari media nazionali (vedere notizie qui o qui, tanto per prendere due esempi abbastanza attuali).

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