Cosa succederebbe se a partire dai 25 anni di vita saremmo costretti a raccattare tempo per vivere?
E' la domanda vitale del lungometraggio "In Time", il quarto di Andrew Niccol, cineasta neozelandese da sempre vicino alla fantascienza e a tutto ciò che ad essa si connette. Qui siamo in un futuro non del tutto precisato, in cui l'uomo è programmato per vivere fino a 25 anni. Poi, automaticamente, si attiva un timer di un altro anno e ognuno tenta in tutti i modo di "guadagnare tempo", in modo lecito o illecito che sia.
Il tempo e il suo trascorrere diventano per Niccol il denaro dei nostri giorni: non si è ricchi se non si ha a disposizione un'elevata riserva di tempo. L'imprecisata città dove si svolge il tutto non a caso è divisa in due zone: in quello che viene chiamato "ghetto" ci sono tutti coloro che possiedono un ridotto lasso di vita. Al contrario, coloro che risiedono a New Greenwich sono gli agiati di questa peculiare società. Hanno denaro, ma soprattutto tempo, quello che serve per sopravvivere. Il protagonista (interpretato da un non credibile Justin Timberlake), conoscerà la differenza tra le due realtà, a seguito di una serie di avvenimenti che complicheranno ulteriormente la sua già precaria situazione.
C'è un impianto originale alla base di "In Time", così come c'erano tutte le premesse per un buon prodotto. Niccol è regista capace e il lontano "Gattaca" sta lì a dimostrarlo. Non manca la classe e la perfezione formale al cineasta d'Oceania, ma questa volta a non convincere sono più dettagli. Innanzitutto la coppia di attori Timberlake/Seyfried: troppo scontati, troppo "bambineschi", imbalsamati. Due attori che non funzionano sono un peso anche per l'intero film. Ma ciò che non convince appieno del lavoro di Niccol è la mancanza o comunque l'affievolimento della sua vena autoriale: c'è poco del suo cinema in questa pellicola, che si risolve in un action facilotto e una sceneggiatura non all'altezza.
"In Time" ha momenti di originalità che si alternano a sequenze che non sembrano opera di Niccol. Il film si lascia guardare per il buon ritmo, ma possiede troppi aspetti derivativi. Non incanala il proprio screentime in un climax finale che riesca a coinvolgere pienamente lo spettatore da quel clima "asettico" che si respira fin dalla prima inquadratura.
A voler tremendamente banalizzare si può dire che l'idea di fondo sia degenerata nel semplice intrattenimento, quasi a voler strizzare l'occhio al moderno action movie, perdendo così di vista il marchio autoriale.
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