Nel mare di uscite discografiche che affollano gli scaffali dei negozi di musica ogni mese, ci sono, per diversi motivi, delle produzioni che rimangono nell’ombra; e alcune di queste sono delle bellissime perle. Come nel caso di questa cantautrice norvegese, Ane Brun, che ha la faccia da diva del film muto anni ’ 30 e due occhi azzurri che sono oceani di profondità, e del suo piccolo-grande disco che si intitola "Spending Time With Morgan".

Ane Brun viene da terre fredde e lontane quindi, ma non per questo è incapace di scaldarti il cuore, perchè è esattamente quello che fa con questo disco, anche al primo ascolto, anche se non conosci bene le parole, perché è molto semplice farsi rapire da quella voce delicata ma decisa, che non si lancia in virtuosismi ma che senti essere incredibilmente duttile. E Allora Ane riesce a creare atmosfere di nostalgica rassegnazione, di quella che ti prende nelle giornate piovose e fredde, ma al contempo c’è qualcosa di diverso, come una pacata e ironica allegria che sembra soggiacere anche ai momenti più grigi. E così il disco comincia a scorrere, una traccia dopo l’altra, e senza che nemmeno te ne accorgi sei già arrivato alla fine ed è un vero peccato, perché già dalla prima traccia “Humming One of Your Song” ti rendi conto di essere davanti a qualcosa di speciale; un piccolo gioiello di “forma canzone” fatta da poche strofe, poche note e pochi strumenti: un trionfo di semplicità ed efficacia stilistica che non riesci più a toglierti dalla testa. Si, perché Ane è una di quelle dotate di vero talento, a cui basta poco per portarti via, per spiazzarti; una spruzzatina di sax (come in “Headphone Silence” ), un controcanto di pedalsteel e piano ("Drowning In Those Eyes", "Sleeping By The Fyris River"), una viola sullo sfondo ("On Off") o magari quando fa tutto da sola, con qualche intricato arpeggio dell’ immancabile chitarra acustica e la sua nuda voce ("One More Time, Wooden Body"). Ci sono anche momenti in cui si dimostra una perfetta interprete del “rock al femminile” , come nel caso della trascinante “So You Did It Again” o della strumentalmente più ricca “Shot My Heart” .

A tratti strappalacrime, a tratti incazzata, ma comunque mai banale nè nei testi nè nelle soluzioni formali, con quell’accento nella strofa che cade proprio dove non te l’aspetti. Un disco potente e delicato al contempo, per i giorni di pioggia e non.

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