La luce si sta indebolendo. I colori sbiadiscono e perdono i propri confini.

Come pensieri alla deriva che si consumano giorno dopo giorno.

Siamo relegati nei nostri antri, in attesa di un messaggio da chissà chi o cosa.

Un messaggio di liberazione da questa prigione forzata, a cui non riusciamo ad abituarci.

Assuefatti come siamo a compiacere ogni sorta di fabbisogno o presunto tale.

Ad una vita così indulgente nella sua finzione, dove l’io è solo ciò che scegliamo di vedere, dove tutto corre e nulla scorre. Come si diceva ? “Produci, consuma, crepa.”

Il virus è l’ennesima variabile impazzita, che spazza via i nostri castelli di sabbia e ci ricorda una volta ancora quanto siamo impotenti dinanzi allo Spettacolo del Creato.

Forse non immaginavamo neanche noi di arrivare a provare paura dei nostri stessi respiri. Degli abbracci, dei baci, delle strette di mano. Di quei pochi gesti che ci fanno ancora sentire vivi.

Scaviamo solchi per seppellire la nostra umanità ancora un po’ più giù.

Ma in fondo è solo una nuova quotidianità a cui sottomettersi, mentre la vita ridistribuisce in sé il peso relativo delle cose.

E’ in giorni come questi che la musica degli Anekdoten suona ancora più oscura e claustrofobica. E’ il suono delle cose che non tornano più. Eppure è proprio ciò che voglio sentire in questo momento.

Un’irruenza strumentale fatta di tempi composti e dissonanze, chitarre nervose come i tempi che viviamo, con il mellotron sempre presente a dipingere affreschi di inesorabile bellezza.

A tratti la tempesta lascia spazio alla quiete, e ci ritroviamo allora sospesi in paesaggi onirici che richiamano la psichedelia floydiana, dove si inseriscono a turno il flauto o il violoncello, il sax o il vibrafono, conferendo alle atmosfere anche una certa aurea mistica.

E fondamentalmente quello che mi affascina di loro è proprio questa anima costantemente in bilico tra asprezze sonore e suadenti visioni, come poli opposti che si compenetrano, come Yin e Yang.

Cosa resta da dire che non sia già stato detto prima ? Beh, per esempio che nel disco in questione ci sono degli ospiti illustri: Per Wiberg (ex tastierista degli Opeth), il fiatista Theo Travis (già al servizio di Steven Wilson e dei King Crimson) e il chitarrista Marty Wilson-Piper (The Church e All About Eve).

Ma gli Anekdoten in fondo sono sempre gli stessi, nonostante gli anni che passano e le lunghe pause compositive, hanno aggiunto o tolto elementi al loro rock progressivo, ma la formula risulta sempre ben riconoscibile, un carico di tensioni elettriche e di quella congenita malinconia tutta scandinava.

Resteremo anche noi gli stessi quando tutto questo sarà finito ? O ci lasceremo al solito inghiottire dalla quotidianità, dal mostro consumistico che abbiamo creato e dalla frenesia del vivere moderno ? Torneremo quegli egosti pezzi di merda che siamo sempre stati ?

Ad ogni modo se non avete di meglio da fare in questi giorni, come credo, restatevene a casa e date un’ascolto a questo grande disco.

Fino a quando tutti i fantasmi non se ne saranno andati.

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