Per riprendersi dal tonfo clamoroso di “Aurora Consurgens” gli Angra hanno impiegato quattro anni. Nonostante in molti ne avessero già recitato il de profundis, la band brasiliana è tornata con un album “Aqua” che, pur non riportandoli ai fasti del passato anche recente (vedi alla voce “Temple of shadows”), riesce comunque a porsi su livelli più che accettabili: un disco buono, con qualche momento di eccellenza (ma anche un paio di inutili filler).

La forza degli Angra è sempre stata la capacità coniugare un’anima power e una prog. Il problema è che, a volte, la prima prende il sopravvento sulla seconda, finendo col banalizzare la mostruosa tecnica dei suoi esecutori (il duo di guitar heroes Loureiro-Bittencourt su tutti). In altre parole, se gli Angra si appiattiscono sugli standard di Helloween o Gamma Ray, allora tanto vale ascoltarsi questi ultimi. Ispirato a La Tempesta di Shakespeare, “Aqua” riesce comunque a stupire. La solita intro corale in puro stile classico, è seguita dallo speed, tutt’altro che originale ma comunque piacevole, di “Arising Thunder”. Fin qui il riferimento a Temple sembra palese: i primi due brani rimandano inevitabilmente ala storica doppietta “Deus Le Volt”+”Spread your fire”. Stupisce in positivo la voce di Edu Falaschi, che i nostalgici di Matos continuano a considerare un intruso. Tecnicamente Falaschi è anche superiore all’illustre predecessore (che comunque dopo l’abbandono degli Angra non ha fatto sfracelli, anzi) e su disco si sente. Il problema è la tenuta dal vivo: dopo la prima manciata di canzoni la voce va a farsi benedire. Il risultato è che il muro di suoni della ritmica e delle chitarre finisce col sommergerlo (in questo ricorda molto le difficoltà di Coverdale con gli Scorpions, soprattutto negli anni recenti). Quanto al drumming, quello di Confessori, tornato nella band dopo una decina d’anni, è di certo preciso e veloce; ma, ponendoci nell’ottica di una band che vorrebbe sollevarsi dalle secche di un banale power, allora la fantasia e la versatilità di Priester (il cui addio è stato tutt’altro che pacifico) mancano eccome.

Se ad illuminare la prima parte di “Aqua” è soprattutto l’oasi melodica di “Lease of Life”, la seconda metà dell’album presenta almeno tre brani di livello superiore: “Spirit of the air”, con la pregevole intro di Kiko alla chitarra acustica e un crescendo di stampo classico (suggestivo non poco il bridge corale a metà brano) fino all’assolo da brividi di Rafael e il finale dolcissimo a sfumare. Altra gemma, soprattutto per il testo, è “A monster in her eyes”, ovvero l’impossibilità di essere amato come condanna all’infelicità, mentre la conclusiva “Ashes” è quasi un viaggio dell’anima, da un’esistenza di dolore alla promessa di un riscatto dopo che saremo tornati polvere.

Un ritorno positivo dunque quello del combo brasiliano, nella speranza che sia solo il primo gradino di una rinascita completa.

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