Una sorpresa questa release. Prima di tutto: gli Angtoria sono una creazione della famosa e brava Sarah Jezebel Deva, corista di gruppi quali Cradle of Filth, Therion, Covenant e altri meno famosi. Ma in questo disco la sua tanto particolare ugola viene messa in risalto per un disco totalmente differente sia come composizione che come genere. Infatti siamo distanti dalle sonorità simil-black o comunque estreme dei gruppi sopracitati.
Il disco vive di un peculiare symphonic-power metal, a tratti gothic. La principale attrazzione del disco è rappresentata proprio dall'eterea voce della corpulenta singer, per il resto il disco scorre senza eccessivi o repentini cambi di tempo o di sonorità: si gioca sempre sull'aspetto sinfonico o addirittura orchestrale delle composizioni. Un buon livello qualitativo però permea il disco, che per quanto non sia eccelso dal punto di vista dell'originalità, fa il suo dovere musicale.
Naturalmente, non poteva mancare un intro strumentale: il disco parte con la maestosità orchestrale di "The Awakening", preludio al disco vero e proprio, che inizia con "I'm calling", a tratti mielosa, a tratti possente come canzone. Godibile al massimo, come la successiva e molto melodica "God has a plan for us all". Molto affascinante invece la seguente "Suicide On my mind", trasportante e cantata ottimamente. Invece è caratterizzata dalle sonorità un pò orientali/arabeggianti la seguente "Deilty of Disgust", in cui si muove bene anche l'ospite Aaron dei My Dying Bride mentre è notevole anche l'aspetto sinfonico di "The addiction", canzone pregevole.
Da qui il disco comincia a calare e scarseggiano gli spunti interessanti favorendo una piacevole monotonia, con canzoni che bene o male si assomigliano un pò tutte: "six feet under's not deep enough" presenta un incedere potente, ma insufficiente così come la banalotta "Do you see me now". Monolitica è "Originale Sin" ma dalle melodie già sentite in questo disco.
Nulla di nuovo presenta "Hell have no fury like a woman scorned" presenta soluzioni interessanti, ma credo che il meglio sia riservato per le finali: "Confide in me" è una malefica ma suadente cover di un noto brano di Kyle Minogue e la dolce e angosciante ballad pianistica “That’s What The Wise Lady Said”, sicuramente il brano più significativo e personale dell'intero disco.
Bè, sicuramente di carne da mettere al fuoco ce ne sarebbe: il disco ha le idee giuste, ma alle volte non vengono usate in maniera appropriata oppure fuori luogo. Sarebbe cosa buona e giusta a volte limitare l'eccessivo uso di orchestrazioni che abbelliscono, ma se usate in maniera pesante e onnipresente, hanno la cattiva abitudine di rendere quasi pomposo e pretenzioso un brano, che comunque di per sè può esser buono.
Quindi, sarebbe giusto, per il prossimo lavoro, fare qualche modifica e qualche accorgimento qua e là, e di sicuro, il risultato sarebbe sicuramente buono come questo, ma meno monolitico e più concreto.
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