„Life used to be life-like, now it's more like show biz”

da “Dilate”

Ani di Franco la conosciamo tutti, o perlomeno dovrebbero conoscerla tutti. Un talento molto peculiare: da un lato la capacità di inanellare versi tra verità e poesia, dall’altro un modo violento di suonare la chitarra (tanto da essere spesso denominata punk-folk - che figata é il termine punk-folk?) e una voce piena che supporta le storie raccAntate (non so se sia un neologismo, ma credo che esprima al meglio ciò che fa la Difranco).

L’unico limite che ha avuto la Di Franco é stato, a parer mio, la sua prolificità: la sua voglia di fare uscire un album o più all’anno non ha consentito a molti di affezionarsi ai suoi lavori. Molto spesso, da due album ne sarebbe potuto uscire uno, a cui affiancare una serie di B-side da urlo. Ecco penso che, soprattutto se ci riferiamo alla prima fase della carriera, “Dilate” (e forse pure “Not a Pretty Girl”) sia l’album meglio riuscito. Quello in cui la cantante ha lasciato la sua tipica foga dirompente e si é fermata un secondo a riflettere, riuscendo così a creare un progetto artistico coerente.

In “Dilate” troviamo tutto ciò che caratterizza la musica della Difranco, racchiuso in 11 gran pezzi, che esprimono rabbia, dolcezza e disincanto. Supporto principale é la fedele chitarra, con l’apporto di percussioni e basso in alcuni pezzi. La rabbia é rivolta sia al sistema delle case discografiche che inghiotte artisti per risputarne figuranti (“they told you your music// could reach millions//the choice is up to you” da “Napoleon”), che ai/alle propri(e) amanti (“And fuck you for existing in the first place” da “Untouchable Face”).

I primi dieci pezzi sono un vortice di emozioni forti, in cui il risentimento la fa da padrone. E se da un lato i testi sono molto chiari a riguardo, anche la chitarra di Ani é suonata in maniera arrabbiata. Mentre le ultime due composizioni sembrano quasi la quiete dopo la tempesta. “Adam and Eve” e “Joyful Girl” sono meno punk e più folk nel ritmo, ma soprattutto sono un’autoanalisi di Ani dopo essersi incazzata con il mondo durante tutto il disco (“I am truly sorry about all this//I envy your ignorance//I hear it is a bless” da “Adam and Eve”).

Insomma, forse sono proprio questi ultimi due pezzi a portare la Difranco a fare il passo in avanti rispetto ai 5 album precedenti, a prendersi il tempo per analizzare la sua rabbia. D’altronde, non é quello che facciamo tutti crescendo? In ogni caso, questo disco suona come un pomeriggio di pioggia del 1996, con il suono della tv in lontananza e una vita ancora a passo d’uomo prima di quel terremoto che sarà la digitalizzazione, che porterà le nostre vite alla corsa perenne.

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