“…E il nostro trio diventerà un duo…”, così cantavano Pumba e Timon nel “Re Leone”, così pure cantano altri due “animali” Panda Bear e Avey Tare rimasti orfani, per scelta o per forza non è dato saperlo, del terzo Animal Collective.
Tuttavia i due sembrano cavarsela bene anche senza l’uomo dei bottoni, quello dietro la console per capirci. Ce lo dimostrano ampiamente in Sung Tongs uscito solo poche settimane fa per la Fat Cat.
Il disco per quanto possa sembrare strambo e sconnesso parla gli accordi basilari della musica pop (quella con la “P” maiuscola), usa quindi un linguaggio universalmente comprensibile. Tuttavia al duo animalesco non devono piacere i sentieri dritti ed in discesa. Infatti qui gli epiteti fissi del pop vengono letti e riscritti in chiavi diverse, scomposti e rimontati nella loro posizione inversa, de-contestualizzati. Spesso accelerati o rallentati come nel caso della palpitante “We Tiger” (giusto per non allontanarci dallo zoo).
La strumentazione è tanto basilare nelle sue linee guida, quanto varia e strampalata negli accessori di abbellimento al disco. Una semplicissima chitarra acustica fa infatti da filo conduttore per tutto l’album. Da contorno invece, le fanno un incredibile mix di strumenti etnici da un lato e raffinati impreziosimenti elettronici (alla maniera sconnessa degli ultimi Flaming Lips o a quella dei più rarefatti Radiohead) dall’altro.
L’elemento etnico non risulta rimanere relegato solo allo strumentario, ma sale prepotentemente all’attenzione anche grazie a certi cori e coretti molto vicini alla tradizione afro. Appare evidente questo nella allegra e scanzonata “Who Could Win A Rabbit”. Anche in “College” è forte l’impressione di trovarsi di fronte ad una ballata tribale, di quelle dove si salta intorno al fuoco seguendo lo sciamano. Ma la sua intro fa più pensare ad un Brian Wilson formato Surfin’ Safari e forse la citazione è più un tributo che un involontarietà. Come riferimenti dunque anche i Beach Boys, ma come non pensare alla Psichedelia Barrettiana ascoltando certi ipnotici e ripetitivi vocalizzi, come nel caso della prolissa “Visiting Friends”.
Un disco estremamente bello e affascinante che propone in chiave estremamente attuale ed innovativa il nobilissimo ed antichissimo tema della psichedelica, affrontato con semplicità infantile. Come dire che forse bisogna regredire alla fanciullezza per maneggiare con pura semplicità i fondamenti Pop e rielaborarli con candida, ingenua e sincera genialità.
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