"Il braccio del capitano come una corda attorcigliata, con A-N-I-T-A che cerca di divincolarsi fra teschio e pugnale...".
Cominciava così, dentro la cabina di comando di una nave sbattuta dalla tempesta, uno dei più tremendi deliri in musica di ogni tempo. Chi c'era su quella nave lo sappiamo molto bene, così come conosciamo molto bene l'autore di quelle spaventose, farneticanti parole - e di quelle (altrettanto inquietanti) che seguivano. ANITA, invece... Si, quell'Anita era proprio lei. Impossibile dimenticarlo, del resto.
Come è impossibile non innamorarsi di questa donna, una volta essere entrati in contatto con il SUO mondo; che per lungo tempo è stato anche il mondo dell'uomo cui istintivamente si è portati a pensare, ogni volta che si parli di lei. Impossibile non innamorarsi di lei, dicevo, se al tempo stesso si è amanti del rock, o meglio del lato più sensualmente perverso di esso. E del Blues, naturalmente, di quello scritto con la maiuscola, di quello che è disposizione dell'animo prima ancora che 12 lugubri battute di lamento e sofferenza. Straordinario e mostruoso (poiché tutto è ossimorico, nel mondo di Anita) è che i demoni del Blues abbiano dimorato nell'anima di questa ragazzina australiana dall'aspetto così ingenuo, innocente, eternamente infantile. Forse fu questo (di certo ANCHE questo) a stregare Re Inchiostro, che rapito da fulminante febbre di passione fece di lei la sua Musa. Ma il termine "Musa" è anch'esso riduttivo, parziale, incapace di dire anche solo una parte del tutto; non dice di una donna che poteva tranquillamente dare del tu a un certo Rowland S. Howard, non dice di un'artista che ha contribuito ai dischi della più iconoclasta band berlinese che si sia mai ascoltata; e soprattutto, non dice di una mente che ha prodotto cose come "chiavi piovono come capelli del paradiso" e ragionato su come "il magro frutto della passione muoia nella luce, più strano della gentilezza"...
...entrare in contatto con il suo mondo, dicevo. Ebbene, "Dirty Pearl" è il modo più completo e perfetto per farlo. Proprio perché opera frammentaria, incoerente, poetica, assolutamente geniale. Difficile dire cosa colpisca di più, di un disco che sa incantare già dal magnifico ritratto di copertina; forse quella voce così profondamente sensuale, decadenti lascivi sussurri adagiati su un fluttuante mare di suoni ed echi distanti; forse quegli inconfondibili arrangiamenti partoriti dall'estro dei Semi Cattivi, e quelle cavernose sepolcrali voci a riempire lo sfondo come riverberi dall'aldilà; o forse quelle notturne incerte atmosfere (sublimi), lasciando che i sensi ne vengano rapiti e trascinati lontano - ora dolcemente, ora languidamente, ora dolorosamente nella brutale ruvidità di una chitarra che taglia, incide profonda. "Gesù mi ha QUASI posseduta", canta Anita, sta all'ascoltatore dedurre che Egli non ci è riuscito; e la deduzione è fin troppo facile. Frammenti di Genio, un collage costruito con il lavoro di un decennio intero, un episodio ("Picture Of Mary") scritto a quattro mani con Blixa Bargeld, un altro ("A Prison In The Desert") di cui è responsabile il solo tedesco; per il resto sono quasi tutti originali, posto che anche nelle cover (come le sa scegliere lei, signori...) la magia è destinata a rinnovarsi. E a tal proposito abbiamo una lunatica "Lost In Music" delle Sister Sledge (con la nobile firma di Nile Rodgers) e - e qui tocchiamo decisamente i vertici - una "Sexual Healing" indefinibile con aggettivi terrestri: un'interpretazione di puro erotismo e sensualità, come il leggendario pezzo di Marvin richiede - ma con quel tocco di femminilità in più che la rende davvero qualcosa di particolare; tra campanelli, rumori che sembrano trascinati via dal vento e sovraincisioni vocali da antologia.
Gioiello raro e preziosissimo: IMPRESCINDIBILE.
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