Tra le varie artiste femminili che hanno veramente cambiato (o fatto) la storia della musica mondiale, molte si sono fatte riconoscere per doti e qualità che permettavano di imporre e "spingere fuori" la figura femminile anche nell'universo musicale. Qualche nome? Madonna è diventata la regina del pop per la sua spregiudicatezza e la non curanza delle regole; Gloria Gaynor è diventata simbolo della diversità (per via del suo colore della pelle e per il fatto che la comunità omosessuale apprezza molte delle sue canzoni); Donna Summer è stata la prima a farsi strada sulle piste da ballo; Tina Turner è stata la pantera deglio show americani con la sua voce inarrestabile e le sue movenze selvagge. E chi più ne ha più ne metta (non me ne vogliano gli altri se non ho citato la loro cantante preferita.....).

C'è invece chi come Annie Lennox ha rinunciato a spintonarsi con le sue colleghe che, oltre alla voce, hanno incentrato la loro carriera sul proprio corpo, sui proprio spettacoli e sulla propria immagine esteriore. Ma nonostante tutto anche la Sacerdotessa del Pop è riuscita a diventare comunque un'ICONA abbastanza riconoscibile. E non solo grazie alla sua raffinatezza, al suo elegantissimo portamento e al suo fascino androgino. Ma anche grazie ad un contenuto. Grazie al suo lato artistico che forse per alcuni non sarà fonte d'invidia per le altre cantanti internazionali. Ma un lato che artistico che tutti si troveranno d'accordo con me se dico che quest'ultimo sia "unico" nel suo genere.

Presentare l'album "MEDUSA" dopo questa brillante descrizione sembrerebbe quasi un suicidio, visto che si tratta di un lavoro che racchiude 10 cover riarrangiate dalla stessa Lennox. Molti sottovalutano e snobbano gli artisti che molto facilmente costruiscono una carriera su pezzi composti già in passato (Marylin Manson, Celine Dion ecc.) Ma prima di criticare un film bisogna vederlo. E prima di criticare un album bisogna ascoltarlo. Per questo farò una breve descrizione di quest'album che proprio come i molteplici tentacoli del mostro greco Medusa fuoriuscivano dalla sua testa, mostra le varie sfaccettature, le mille personalità di una donna che rende in qualche modo "sue" queste canzoni.

L'album si apre con uno dei più grandi successi della Lennox: "No More I Love You's", che come dico sempre io "non appartieni alla razza terrestre se non conosci questa canzone...". Sicuramentel'incessante dopopopo dododo e l'utilizzo della traccia in Vacanze di Natale 95 ha celato per anni l'atmosfera macabra e psicopatica di questa malinconia canzone, lasciando il posto ad un tormentone estivo di una botta e via. Vi invito a vedere il bellissimo video della canzone (allestito in parte dalla stessa Lennox) per capirne un pò meglio il significato...

Con la seconda traccia, "Take me to the river" Annie ci porta in un'atmosfera rock anni 70, rimanendo abbastanza fedele alla versione ufficiale di Al Green (anzi forse la Lennox l'ha resa meno carica e meno "black" rispetto all'originale).

Nonostante le tracce originali riprese dalla Lennox in questo album siano per la maggior parte sconosciute al grande pubblico contemporaneo (perlomeno in Italia), con la terza canzone Annie osa veramente e si prende la briga di interpretare "A whiter shade of pale", storica canzone dei Procol Harum che è stata definita una delle più belle canzoni di tutti i tempi secondo la prestigiosa rivista Rolling Stones. L'arrangiamento risulta più moderno e la voce di Annie si adatta perfettamente.

"Don't let it bring you down" (di Neil Young) rifatta dalla Lennox sembra quasi un'altra canzone, nonostante il troppo utilizzo di una base pop spenga in alcuni momenti la magia che creava l'interpretazione di chi l'ha scritta e cantata prima di lei. La canzone sarà utilizzata nel film American Beauty.

Con "Train in vain" e "I can't get next to you" la Lennox mette le vesti di due gruppi del pop/rock anni 70 (The Clash e The Temptations) con un'ambiance che conserva un ritmo tipico di quegli anni definiti d'oro per il rock 'n' roll.

La lunghissima "Downtown lights" (dei Blue Nile) presenta in modo imbarazzante una base identica a quella originale, ma probabilmente il sound cosi futuristico della canzone non avrebbe potuto sopportare cambiamenti troppo drastici.

"Thin line between love and hate" (dei Pretenders) ci annuncia che siamo prossimi alla conclusione, dandoci col suo ritmo pop/soul un attimo di respiro che anticipa una canzone di un mito della musica.

Anche il re del reggae Bob Marley infatti compare tra gli artisti preferiti della Lennox, che gli "ruba" la solarissima "Waiting in vain" e la ripulisce leggermente dagli strumenti tipicamente reggae e la fa sua con la sua voce pop.

L'ultimo tentacolo dell'album, "Something so right" è probabilmente quello più sentito dal lato interpretativo: cosi sentito che la Lennox lo intepreterà con lo stesso autore del brano (per la cronaca Paul Simon) in una reedizione dell'album.

Questo è l'universo musicale presentato in questo bellissimo album. Un album che accompagna da sempre le mie giornate per la sua varietà di generi musicali e naturalmente per questa "Medusa" degli anni 90 che ha saputo rendere omaggio a degli artisti che lei indiscutibilmente apprezza. E presentando in più delle tracce che non hanno costruito il nome di questi artisti, ma che rappresentano invece il loro lato più intimo, più sconosciuto al grande pubblico. Lato che la Lennox ha afferrato senza troppi complimenti e lo ha reso suo.

Mi piacerebbe concludere proprio con una frase che Annie scrive nel libretto di questo prezioso lavoro appena descritto:

"Agli autori di queste bellissime canzoni, ai quali offro il mio più profondo rispetto."

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