Recensione “Martyrium” (1994) – Antestor
Questo disco rappresenta il primo vero full- lenght dei norvegesi Antestor, già attivi dal 1990 nella scena underground norvegese e con alle spalle due demo: The Defeat of Satan(1991) e Despair (1993). “Martyrium” venne registrato nel 1994 ma fu distribuito esclusivamente tramite alcune copie autoprodotte, poi nel 1997 vennero pubblicati alcuni bootleg dalla Morphine Records, che probabilmente per scarso gradimento del pubblico interruppe la pubblicazione dopo soltanto 50 copie. Il disco, diventato ormai a tutti gli effetti un cult, è riuscito ad avere una pubblicazione degna di nota soltanto nel 2000, in seguito alla pubblicazione del loro secondo lavoro “The return of the Black Death” (1998) da parte della casa discografica EndTimeProductions.
Sicuramente a inficiare sul loro scarso successo, soprattutto agli esordi, è stata l’originalità della proposta musicale, ovvero un Black Metal molto estremo dai forti contenuti cristiani, in totale controtendenza con il Black norvegese di gruppi capostipite quali Mayhem, Darkthrone, Emperor (ecc.ecc) tutti fortemente caratterizzati da liriche dense di contenuti satanisti. È risaputo che gli Antestor, invece, con le loro tematiche prettamente cristiane e la loro fede indefessa verso Dio, non solo risultavano ridicoli agli occhi del pubblico norvegese, ma hanno altresì subito numerose minacce, sia da fan oltranzisti del Norvegian Black Metal che da esponenti di altre band appartenenti all’ “Inner Circle”.
Martyrium si può definire se non il primo esempio, forse il secondo (il primo probabilmente è stato “Hellig Husvart” degli Horde) di Unblack Metal o Christian Black Metal della storia.
Sul fronte delle tematiche, Martyrium, come già accennato si distingue da tutte le pubblicazioni del genere per i forti contenuti spirituali di matrice cristiana. Il disco è composto da 10 tracce nelle quali i nostri trasportano l’ascoltatore in un vero e proprio travaglio interiore di stampo catartico.
Le tematiche trattate sono quelle del disagio spirituale ( “Spiritual disease”), dei vizi più biechi della societa odierna (“Materialistic lie”), i momenti più oscuri della depressione (“Depressed”) , le paure più intime provenienti dal nostro inconscio rimosso, il male che riaffiora dalle caverne (“Inmost fear”), fino a toccare temi esistenziali con discreta profondità come in “Under the sun” dove i nostri si domandano il senso della saggezza, dato che questa saggezza con la consapevolezza che si porta dietro è capace di far luce su talmente tante cose orribili e degne di paura - inerenti l’esistenza umana - da risultare spesso un macigno piuttosto che una benedizione; fino poi a culminare con la finale “Mercy Lord”, in cui all’apice del travaglio interiore, esausti, impauriti e colmi di una disperazione di fondo che non riescono a scrollarsi di dosso - con un occhio scrutatore puntato sui loro sensi di colpa - giungono a chiedere apertamente pietà a Dio e a pregarlo di lascarli rimanere uniti a lui, giustificando il loro indugiare su desideri maligni con l’asserzione che tutto sommato è Dio che ha riposto la verità nella più profonda tenebra. E in effetti è così, spesso per trovare la verità e raggiungere la saggezza si è costretti ad affrontare i più neri abissi.
Loro delegano la salvezza e il perdono di se stessi alla pietà di Dio, proiettando probabilmente su di esso, come usa fare ogni cristiano di fede, la propria stessa capacità di perdonarsi, anziché rendersi conto che loro stessi sono una parte di Dio e che Esso li perdona esclusivamente in quanto loro riescono a sviluppare la facoltà di perdonarsi (ma questa è un’altra storia).
Passando invece in rassegna l’aspetto prettamente musicale del full-lenght, Martyrium si presenta come un album estremamente duro, granitico e ossessivo. Caratterizzato da partiture prettamente Doom dal retrogusto Death sorrette da growl cavernosi che si intersecano con ritmiche veloci e martellanti tipiche del Black dei primordi, chitarre distorte e ampio utilizzo del tremolo- picking, quest’ultime invece sorrette prevalentemente da vocalizzazioni in scream frequenti nel genere. Oltre all’aspetto prettamente Doom si riscontra ancora, come molti altri prodotti estremi di inizio anni 90, forti influenze da parte delle più note Thrash Metal band dell’epoca.
A rompere gli schemi delle coordinate stilistiche che ho appena enumerato sono gli interludi di tastiera (anche di piano in Mercy Lord), qualche sporadica clean vocals e una voce addizionale femminile di una certa Tora (su questo forse sono stati dei precursori di molte Black Metal band di stampo più melodico).
La produzione per l’epoca in cui è stato dato alle stampe è molto buona, si riesce ad apprezzare adeguatamente la totalità delle dinamiche strumentali e si amalgama bene alle varie influenze di genere contenute nei brani. Non è una produzione patinata, è una produzione rude per i canoni odierni, ma meno grezza di quella di molti altri album della sua epoca.
Il disco si ascolta che è un piacere, nove brani per un totale di 47 minuti, che per il genere non sono poi così pochi, ma riescono a non stancare l’ascoltatore e a catapultarlo all’interno dei meandri più malsani e tenebrosi del peccato e del disagio interiore… Fino a lasciare intravedere uno spiraglio di luce forse in grado di trasmutarsi in abreazione catartica.
Un disco da avere a tutti costi, un vero e proprio cult per gli amanti delle sonorità estreme.
Ne consiglio l’acquisto soprattutto se come me amate il Metal estremo ma non ne condividete i fondamenti spirituali e religiosi. Allora sì, diviene uno dei pochi giacigli dover poter continuare ad apprezzare un certo tipo di potenza sonora ed espressiva.
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