Tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore Charles Fraizer, "Ritorno a Cold Mountain" è insieme a "Il paziente inglese" l'opera cinematografica più famosa di Anthony Minghella. Un lavoro che ricevette ben sette nomination agli Academy Awards e che fu presentato come uno dei titoli più interessanti e "importanti" del 2003: un po' perchè Minghella aveva già stupito tutti con il già citato "Il paziente inglese", un po' perchè nella pellicola figuravano nomi altisonanti del calibro di Nicole Kidman, Jude Law, Renée Zellweger, nonchè Natalie Portman e Philip Seymour Hoffman in ruoli "minori".
La storia è immersa nel pieno della guerra civile americana: Inman (Jude Law) parte per combattere, ma è costretto ad abbandonare Ada (Nicole Kidman), una donna di buona famiglia di cui si era invaghito soltanto alcuni giorni prima della sua partenza. E' l'inizio di un calvario doppio, che distrugge psicologicamente lei e anche fisicamente lui, "costretto" a sopravvivere con le ferite vere e morali di una guerra che lo ha scosso nel profondo. Nell'attesa che i due possano rivedersi compare la figura di Ruby (straordinaria l'interpretazione della Zellweger), una donna ruvida come il mondo che la circonda. Tra lei e Ada si instaurerà un rapporto capace di alleviare le difficoltà di entrambe.
E' un plot denso, "pesante", quello che Minghella mette in scena, avvalendosi di una sceneggiatura da lui stesso firmata che collabora bene nel raccontare una storia non del tutto originale, ma comunque complessa. Le oltre due ore abbandonati di film finiscono per scadere in un discorso narrativo a volte raffazzonato, imprigionato nella necessità filmica di "mettere tempo", affinchè si crei la giusta tensione per il possibile ricongiungimento. "Ritorno a Cold Mountain" ha proprio in questo aspetto il suo punto più debole: una pellicola forse eccessivamente lunga, che a causa di una storia non del tutto lineare, finisce per avere dei buchi narrativi che si manifestano soprattutto nella parte centrale, quella che a conti fatti è la meno riuscita. Ma Minghella è regista dotato e dimostra di saper governare ottimamente un racconto dalle molteplici sfaccettature: per farlo eleva il suo livello registico, tentando inquadrature più ardite e meno "standard" rispetto al suo solito. Anche per questo lo si può definire come il lavoro più esigente del cineasta britannico.
"Cold Mountain" (titolo originale) non è soltanto un film romantico, ma è un affresco dell'America del tempo (siamo nel 1864, North Carolina), nonchè una riflessione sulla guerra, elemento che distrugge, spezza e divora un paese intero. Non c'è solo la guerra splendidamente raccontata dall'assedio di Petersburg (di altissimo livello la sequenza iniziale), ma c'è un conflitto interno, che è rappresentato dalle scorribande dei confederati nei confronti dei disertori. E' proprio questo l'aspetto più cruento della rappresentazione.
Probabilmente mieloso in modo eccessivo nella seconda parte, forse anche prevedibile in un finale che comunque lascia l'amaro in bocca, "Ritorno a Cold Mountain" è grande cinema, sebbene quelle problematicità a livello narrativo prima ricordate. La visione risulta a tratti eccessivamente compassata, ma alla fine risalta un'opera magniloquente dal punto di vista registico, musicale e scenografico (Dante Ferretti, una sicurezza), che riesce a scrollarsi di dosso l'etichetta della "storia d'amore" per raccontare altro e raccontarlo in modo impeccabile.
Un regista che non ha avuto il tempo di dire tutto (è deceduto nel 2008), ma che ha comunque lasciato una carriera con diversi lampi di classe.
Premio Oscar 2004 a Renée Zellweger come "miglior attrice non protagonista".
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