Anthony Phillips – Wise After the Event 1978
La tristezza che mi attanaglia sa essere infinita: una spirale nera che mi avviluppa, un demone maligno che non mi fa respirare e tira il groppo attorno alla gola. E tira, tira fino a vedermi gli occhi scoppiare.
Non ho più lacrime da spendere.
Non ho lacrime che possano portare l’amaro cresciuto nell’anima al di fuori di me. Sovralimento questo stato morboso con rabbie e rancori e con odio e con invidia. Ogni cosa che tenti di avvicinarmi viene deviata dal mio stato e portata altrove, non stringo più nulla, le mie mani non agguantano, il mio spirito rifiuta ogni presenza, in una misantropia più voluta che naturale.
In questo mio essere ho la memoria di alcune note, una musica che, dapprima lontana, vuole avvicinarmi, avvolgermi e destarmi dalla morsa letargica che mi spegne. Via via che le note si diffondono, il loro miscelarsi si fa presenza, si fa corpo e mi sembra di stare meglio.
La forza della poesia, della leggerezza delle parole, stese come veli sovrapposti a lenire ogni ferita. Ogni arpeggio di chitarra acustica mi dà sollievo, ogni pigiata di tasti bianchi e neri diviene aria sana per i miei polmoni, ogni parola soffiata è endorfina surrogata. Il disco che mi salva è Wise After the Event di Anthony Phillips, primo storico chitarrista dei Genesis e ritiratosi a vita privata per motivi apparentemente inspiegabili. Sì, qualcuno ha detto timidezza, terrore del palco, panico da pubblico, quello che si vuole … non è importante. Importante è che dopo l’esperienza Genesis, sbollita la paura o quel che fosse stato, Phillips ha avviato una carriera solista intima, seminascosta, indirizzata a quei pochi che, sapeva, avrebbero potuto mettere il cuore nell’ascolto. In cambio lui avrebbe messo il cuore nei dischi, nella sua musica. Non è mai venuto meno alla silente promessa e, nell’ormai nutritissima discografia, spicca questo status poetico, elegiaco, raffinato e pacato che abbiamo saputo apprezzare.
Questo disco non è il suo vertice compositivo, ma resta certamente nella parte più emozionale della discografia, perché ha dentro tutta l’anima, tutta la musicalità e tutta la mesta poesia che accompagna la vita di Phillips, tutte le rinunce, forse rancori, forse rimpianti, non lo sappiamo. Ma da quelle tonalità minori, da quel caldo esplodere di note tutto si fa poesia. Quella poesia intima, segreta, personale, a tratti anche claustrofobica, ma a tratti liberatoria e dal tocco taumaturgico.
Non serve narrare di un brano o di un altro, non serve evidenziare un passaggio o un assolo o un fraseggio. Questo è un disco che va da sé e va dritto dove deve andare. Il cuore lo riceve nella sua interezza e il suo peso può essere fardello ricco o piuma eterea, un balzo al paradiso o una coltellata. Salvifico, per me.
Sioulette p.a.p.
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